Un anno fa dalle urne il Pd uscì con un esiguo 19%, più o meno quello che aveva ottenuto nel 2018. Il M5S invece portò a casa un misero 15,6%, meno della metà del 32,66% riportato nelle precedenti elezioni.
Negli ultimi sondaggi il Pd sale appena dello 0,7% mentre Conte si attesta al 17,4% crescendo di circa due punti. Il segnale è chiaro. Schlein ha ereditato un partito allo sbando, indebolito anche da un’inutile agonia congressuale durata sei mesi. Ha impresso uno sprint iniziale ma la spinta propulsiva batte la fiacca e rischia di esaurirsi. Conte, invece, smentendo le previsioni, continua a rastrellare nuovi consensi.
Schlein e Conte cercano di farsi concorrenza. Entrambi coltivano in segreto il sogno di essere alleati. Ma ciascuno dei due vorrebbe dettare legge all’altro.
Finora questo giochetto ha avvantaggiato Conte che ha mantenuto una linea politica più coerente rispetto a quella di Schlein.
La segretaria del Pd non pare aver ben chiara né la strategia da seguire né i contenuti con cui riempirla. Sul salario minimo è andata a ricasco di un vecchio cavallo di battaglia del M5s. Su altri temi di politica sociale stenta a definire degli obiettivi pur avendo tra i suoi persone di grande capacità in materia come Antonio Misiani. Il Pd sembra così paralizzato da incertezze e sicumere. Cui si aggiunge un clima interno tutt’altro che costruttivo. Schlein non conosce bene il partito complicato che le hanno chiesto di guidare. Invece di smorzare le angolosità delle varie componenti lei finisce per esasperarle.
Conte non ha di questi problemi. È padrone assoluto del Movimento, Grillo è ormai fuori gioco e l’avvocato vive di rendita sulla buona immagine personale che si è conquistata e su una sloganistica efficace per un elettorato molto sensibile ai richiami del populismo. Conte si sente più forte di Schlein, snobba le vare richieste di alleanze stabili che vengono da Elly e la costringe sempre più a “coccolare” il M5s facendo adirare una buona parte del Pd. Un ulteriore indebolimento del partito potrebbe portare addirittura ad un sorpasso del Movimento che diventerebbe la prima forza di opposizione e segnerebbe la sconfitta definitiva di una sinistra poco coraggiosa, ondivaga, intenta a contemplare il proprio ombelico. Per il Pd dopo l’ennesima sconfitta, la scelta più saggia sarebbe stata quella di cambiare nome, simbolo e l’intero gruppo dirigente dando vita ad una nuova forza politica lontana mille miglia dai riti e dai miti del passato. Ma questa ipotesi fu sdegnosamente scartata. Ed ecco i risultati.