Si chiamano Monica, Erika, Sara, Edislaidys, tutte under 30. Sono le prime quattro donne assunte dall’Agenzia del Lavoro Portuale di Trieste (Alpt) e che, una volta formate, si occuperanno delle operazioni portuali. Lo scalo giuliano si apre così al lavoro femminile in banchina, un altro segno in direzione di una concreta modernità in tema di pari opportunità. Le quattro donne, provenienti da esperienze di impiego in altri settori, saranno assunte per un primo periodo attraverso una società di lavoro interinale come è avvenuto per altri lavoratori.
La professionalità non ha genere
Il sostegno all’iniziativa dato dall’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale è stato decisivo. L’Authority ha supportato Alpt, per esempio, a individuare e risolvere il primo problema logistico legato a spazi adeguati e spogliatoi dedicati alle donne. Zeno D’Agostino, presidente dei porti di Trieste e Monfalcone, ha spiegato come “il problema è il cambiamento di paradigma nell’organizzazione del lavoro. Si continua a impostare sempre le cose con un approccio da uomini, ma la professionalità non ha genere. Abbiamo informato i lavoratori dell’intenzione di aprire alle donne l’opportunità di operare in banchina al loro fianco, trovando consenso e accoglienza.” Stessa soddisfazione da parte di Francesco Mariani, presidente di Alpt, che rimarca con soddisfazione “il valore sociale nell’adeguare anche il lavoro portuale ai cambiamenti intervenuti nella società italiana in materia di lavoro femminile”.
Le criticità per le donne
Intanto la Federazione del Mare proprio di recente ha evidenziato l’esigenza di accelerare il processo per raggiungere l’uguaglianza di genere nel settore marittimo. “La parità di genere – ha sottolineato il presidente della Federazione, Mario Mattioli – è un pilastro fondamentale per un futuro migliore.” Mentre un nuova indagine realizzata dal Global Maritime Forum e dalla All Aboard Alliance sui problemi incontrati dalle donne che lavorano a bordo delle navi ha rilevato quattro categorie di criticità: difficoltà da parte delle donne a ottenere riconoscimenti professionali, difficoltà nelle relazioni sociali a bordo, problemi connessi alle pratiche lavorative e contrattuali e condizioni lavorative e sanitarie a bordo delle navi. L’indagine è stata svolta intervistando 115 donne che lavorano sulle navi ricoprendo tutte le mansioni e offre un ampio spettro delle loro esperienze di lavoro; entro fine 2023 saranno messe a punto soluzioni sperimentali per superare le criticità evidenziale.
Il porto delle donne
Infine, secondo il progetto “Il porto delle donne”; iniziativa realizzata dal Comune di Livorno in collaborazione con l’Associazione scientifica internazionale RETE, l’Università di Pisa e il CNR-Iriss di Napoli, in Italia nel comparto portuale le donne sono soltanto l’8%. Dato, comunque, distribuito a macchia di leopardo, ad esempio: nel sistema portuale del Mar Tirreno settentrionale ci sono circa 150 dipendenti; il 45% dei quali è forza lavoro femminile, impegnato in prevalenza in funzioni di primo livello. Mentre nella Compagnia Portuale Livorno (Cpl) è stato raggiunto il 14,6% di presenza femminile. Luca Ghezzani, consigliere della Cpl ha spiegato che “le mansioni svolte dalle nostre lavoratrici sono le medesime della manodopera maschile: sono gruiste, guidano mezzi di sollevamento, svolgono funzioni specifiche con palmari a bordo di grandi portacontainer di ultima generazione. Nel tempo, infatti, le tecnologie utilizzate nel porto stesso e per la movimentazione delle merci si sono notevolmente sviluppate”.