Governo e opposizioni aprano un dibattito sereno e costruttivo sulla proposta dell’ex presidente del Consiglio e della Bce. Evitiamo le solite barricate. L’Italia potrebbe essere il capofila in Europa di una maggiore unione fiscale.
Dopo un silenzio durato più di un anno torna sulla scena Mario Draghi con uno di quegli interventi che indicano la rotta e invitano i governi a riflettere.
La ricetta di Draghi è in continuità con la sua visione dell’Europa che ispiró prima il Whatever it takes, poi il “debito buono” e ora la “spesa centralizzata”.Piaceranno sicuramente a Meloni le parole con cui Draghi boccia il ritorno alle vecchie regole del Patto di stabilità:”sarebbe il risultato peggiore possibile”. Questo,però, non significa allentare le regole fiscali o sugli aiuti di Stato.Per una maggiore integrazione fiscale non servono strumenti di trasferimenti diretti tra Paesi.Ciò che serve è spostare maggiori poteri di spesa al centro, cioè fare un passo avanti significativo verso un modello federale quanto meno sulla politica fiscale. Draghi vincita l’esempio degli Stati Uniti, dove il governo federale ha la forza di orientare i grandi capitoli di spesa cui devono uniformarsi i governi statali. Draghi si riferisce non a tutte le spese ma a quelle strategiche ( difesa, transizione everde e digitalizzazione) “L’indebitamento e la spesa federale porterebbero a una maggiore efficienza e a un maggiore spazio fiscale, poiché i costi di indebitamento aggregati sarebbero inferiori.”
In questo modo:”Le politiche fiscali nazionali potrebbero quindi concentrarsi sulla riduzione del debito e sulla creazione di riserve per i periodi di crisi”.
Le parole di Draghi non possono essere liquidate a cuor leggero nè utilizzzate a fini politici di parte. È bene che tutti avviino una riflessione profonda prima di liquidarle come un esercizio intellettuale o di cavalcarle con faciloneria.