La scarsa cultura della sicurezza che caratterizza la maggior parte dei lavoratori atipici comporta non solo un maggior rischio di subire un infortunio o di contrarre una malattia, ma anche una minore capacità di individuare e di denunciare una situazione di rischio o una malattia professionale.
Con il termine di lavoro atipico si intendono tutti quei contratti di lavoro non abituali, diversi dai tradizionali contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato e dalle forme di lavoro autonomo.
In Italia i lavoratori atipici sono il 10,8% del totale, contro una media Ue dell’8,8%. L’11,3% degli occupati – a fronte di una media Ocse che si ferma al 3,2% – ha un part time involontario, cosa che ovviamente si traduce in uno stipendio più basso rispetto a quello di cui avrebbero bisogno. Il 68,9% dei nuovi contratti attivati nel 2021 sono a tempo determinato e solo il 14,8% a tempo indeterminato.
L’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda meno di 10mila euro mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori a 30mila euro, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri europei. E’ quello che emerge dal Rapporto Inapp 2022 – Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro, presentato alla Camera dal presidente dell’ente pubblico di ricerca Sebastiano Fadda alla presenza della ministra del Lavoro Marina Calderone.
Si presume, secondo l’Osservatorio Malattie Occupazionali e Ambientali dell’Università degli Studi di Salerno, OSMOA, che tra i lavoratori atipici esista un elevato grado di sottodenuncia sia del fenomeno infortunistico che di quello tecnopatico. Difatti, ciò che consente di denunciare una malattia professionale e di ottenerne un indennizzo non è solamente la gravità stessa della malattia, ma è la capacità che ha il lavoratore di individuare l’origine lavorativa del male e la capacità che ha di dimostrare tale correlazione.
Per avviare un percorso di riconoscimento della malattia professionale serve: a) avere una chiara consapevolezza dei propri diritti; b) un’attenzione alla propria salute; c) la capacità di correlare una certa patologia con il lavoro svolto.
Per il lavoratore atipico l’ostacolo maggiore al processo di riconoscimento della malattia professionale è dato dal percorso lavorativo che affronta, molto frammentato, disomogeneo, intermittente e variabile per il tipo di mansioni e i luoghi di lavoro, se non addirittura per la diversità delle professioni che egli si trova a svolgere. L’estrema variabilità della biografia lavorativa ostacola la stratificazione di una conoscenza del legame che intercorre tra il lavoro svolto e la propria condizione di salute e non lascia maturare la capacità di tutelare la propria salute e rivendicare i propri diritti.
La frammentazione del percorso lavorativo complica inoltre il lavoro degli istituti adibiti alla prevenzione, alla vigilanza e alla tutela, poiché è difficile attribuire in maniera certa le cause e le responsabilità delle malattie professionali.
Un ragionamento simile può essere fatto per quanto riguarda gli infortuni, almeno per quelli più lievi. Difatti, un infortunio poco grave può facilmente non essere denunciato per una posizione di assoggettamento in cui grava il lavoratore rispetto al datore di lavoro, per la paura di perdere il posto o di non avere rinnovato il contratto.