domenica, 22 Dicembre, 2024
Geopolitica

Il dominio cinese alla prova dei fatti

Intervista a Alessandro Aresu

Da tempo la Cina è impegnata nello sforzo di conquistare la supremazia tecnologica nei confronti degli Stati Uniti e dell’Occidente. I suoi sforzi devono fare i conti con il rafforzamento  del controllo politico sull’imprenditoria privata voluto da Xi Jinping e dai rischi di indebolimento di un’economia fiaccata dall’esplosione della bolla immobiliare e dalle fragilità di un sistema pieno di contraddizioni. Ne parliamo con Alessandro Aresu che ha dedicato  a questi argomenti il volume “Il dominio del XXI secolo – Gli USA, la Cina e la minaccia della guerra tecnologica” edito da Feltrinelli

Nel suo avvincente e preoccupante  saggio lei ricorda che nel 1988 il prof. Wang Huning, consigliere di Jiang Zemin, Hu Jintao e ora di Xi Jinping scriveva: “Per  battere gli americani bisogna sorpassarli nella scienza e nella tecnologia”. Questo sorpasso c’è stato? Ci sarà?

Quella frase fu scritta negli anni Ottanta quando la Cina, guardando all’ascesa del Giappone che era legato a filo doppio con gli Usa, pensò: noi che non dipendiamo dagli Usa potremo batterli, un giorno. In che consiste la crescita cinese? I numeri delle lauree scientifiche  e delle capacità di ricerca della Cina sono destinati a crescere ancora.  In alcuni settori come quello dei  semiconduttori, la Cina vorrebbe primeggiare, ma ancora non ci riesce e  c’è forte competizione con gli Usa. Invece, nelle tecnologie della transizione ecologica, pannelli fotovoltaici, batterie e auto elettriche , Pechino è avanti. E poi ci sono altre sfide come quelle dell’Intelligenza artificiale ma ne scriverò in un prossimo libro.

Nel settore dei semiconduttori, lei racconta la vicenda straordinaria di due aziende, l’olandese ASML e la taiwanese TSMC che stanno molto più avanti delle loro concorrenti cinesi. E’ pensabile che oltre agli ipotizzati decoupling commerciale e finanziario ci possa essere un decoupling tecnologico senza che ci siano effetti boomerang verso gli Stati Uniti?

Le due aziende citate sono anche degli ecosistemi, dei clusters di varie altre attività produttive integrate.

Qualunque decoupling deve tener conto delle interazioni che ci sono con l’enorme mercato cinese. Esso è, da un lato, integrato nel mercato internazionale con le catene globali del valore, dall’altro esso è costituito da consumatori e clienti di aziende non cinesi, americane e non solo, per le quali fare a meno di quel mercato significa registrare perdite consistenti. Peraltro, ricordiamo cosa è successo con le case automobilistiche europee che hanno messo piede in Cina: non hanno capito fino in fondo che la Cina volesse poi far crescere dei campioni nazionali nel loro settore, e ora pagano il costo di quell’illusione. Insomma, nessun disaccoppiamento può avvenire senza forti costi.

Nel suo libro lei solleva molti dubbi sull’efficacia del “sanzionismo”,  nell’imposizione unilaterale di sanzioni per come strumento per contrastare la potenza economica cinese. E’ sbagliato ricorrere a sanzioni?

Le sanzioni sono di vario tipo: finanziarie, commerciali e finalizzate al  controllo delle esportazioni. Ma possono rivelarsi un’arma a doppio taglio: se si interrompono  attività  e collaborazioni tra aziende cinesi e americane in alcuni settori, Pechino è costretta a fare da sola e meglio  sviluppando capacità interne. Una decapitazione tecnologica della Cina non è all’orizzonte. Ma bisogna poi vedere se e quanto sono vere alcune affermazioni secondo cui la Cina avrebbe fatto nuove conquiste tecnologiche proprio aggirando questi sistemi messi in campo dagli Stati Uniti.

La priorità per gli Usa è evitare che la Cina sviluppi tecnologie che possano poi essere applicate al settore militare e costituire una reale minaccia per l’America.
Nello stesso tempo, Washington continua a puntare ad un indebolimento complessivo dell’economia cinese per rallentarne lo sviluppo e il peso sull’economia globale, facendo leva sulle altre debolezze cinesi, come la demografia e le alleanze.

La Cina con il suo capitalismo sempre più di stato e controllato dal partito comunista e con una fragilità finanziaria evidenziata dall’esplosione della bolla immobiliare potrebbe rallentare la sua corsa che mira a  scalzare gli Stati Uniti non solo dal primato numerico del Pil ma anche dal primato di potenza guida dell’economia mondiale?

Il sistema economico cinese è  un ibrido in cui coesistono iniziativa privata e autoritarismo statale. Il suo vero funzionamento e le sue vere strategie di medio e lungo termine non sono state pienamente leggibili e sono divenute più oscure con Xi Jinping.  E’ un sistema che ha parecchie interazioni finanziarie con gli Stati Uniti, con aziende statali quotate a Wall Street e con fondi Usa di Venture Capital che hanno investito nei campioni digitali cinesi: pensiamo a Sequoia con ByteDance, la società che controlla TikTok. Ora, però Sequoia ha separato la parte del suo fondo cinese dalle altre attività internazionali.

Detto questo, senz’altro il notevole rallentamento della crescita dell’economia cinese potrebbe ridurre le risorse per sostenere  i massicci investimenti tecnologici.

Condivide l’idea sostenuta da Kevin Rudd  di una “concorrenza strategica gestita” Tra la Cina e gli Stati Uniti, proprio mentre Pechino accresce le sue ambizioni economiche e geopolitiche e vuole creare una moneta alternativa al dollaro con i Brics?

Aumentare i canali di comunicazione tra i due Paesi è estremamente importante per evitare gravi incomprensioni. Ma bisogna tener conto anche di altre soggettività che esistono in quell’area. Anzitutto il Giappone, le cui attività sono molto importanti, poi l’India, diversi altri Stati del sud-est asiatico.
E’ importante non ridurre tutto ad una competizione a due tra USA e Cina perchè anche questi altri Paesi asiatici hanno e avranno un ruolo cruciale nella definizione dei nuovi equilibri mondiali.

 

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