Dal primo gennaio 2024 altri sei Paesi entreranno nel salottino dei Brics: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti si uniranno a Cina, India, Russia, Brasile, Sudafrica e insieme rappresenteranno il 36% del Pil mondiale ma soprattutto il 47% della popolazione della Terra.
Cosa hanno in comune questi Paesi? Poco o nulla. Ma vogliono creare un club di potenze economiche emergenti con l’obiettivo di scalzare Stati Uniti, Europa e Giappone dal ruolo centrale che hanno esercitato nell’economia mondiale soprattutto dopo il secondo dopoguerra.
Le differenze tra questi Paesi emergenti e l’Occidente cui vorrebbero sostituirsi sono abissali. Quello che chiamiamo Occidente corrisponde alla grande alleanza economica, politica e militare che ha unito Europa, Stati Uniti e Canada ma che ha finito per coinvolgere in varia misura anche un continente lontano come l’Australia, un gigante dell’Est come il Giappone ed economie fortemente innovative come quella di Taiwan e della Corea del Sud.
Questo mondo occidentale è caratterizzato e accomunato da due pilastri: la democrazia pluralistica e il sistema di economia aperta di mercato.
Su questi due pilastri, con fasi alterne, l’Occidente ha costruito l’area complessivamente più ricca e meno ingiusta del mondo. Per quanto le distanze e le diseguaglianze sociali possano essere profonde dalle nostre parti esse sono ben poca cosa se paragonate a quelle presenti in tutti i Paesi che fanno parte dei Brics.
E che dire poi dei regimi politici? Non sono certo un esempio di democrazia la Cina, la Russia, l’Arabia saudita, gli Emirati, l’Egitto, retti tutti da autocrazie. L’Iran è addirittura un regime teocratico.
Il Sudafrica è formalmente una democrazia ma in quel Paese i diritti umani sono sistematicamente calpestati; l’Etiopia è una democrazia fragilissima dilaniata da scontri etnici che sfociano periodicamente in guerre civili. Brasile e Argentina si sono liberati da violente dittature solo a metà degli anni Ottanta ma sono attraversati da fortissimi conflitti sociali e devastati da populismo e corruzione.
L’India è un caso a sé perchè una democrazia abbastanza sperimentata anche se, con la presidenza di Modi, sta degenerando in un sistema intollerante, che crea forti emarginazioni sociali e religiose mettendo a rischio la stessa solidità della democrazia post-coloniale
Il salotto dei Brics contrapposto a quello dell’Occidente appare molto distante nei valori base che fondano quei Paesi e i nostri. Le loro economie poi sono difficilmente omologabili tra loro. Cosa abbia in comune il capitalismo politico di Stato della Cina con le economie della Russia dell’Arabia e degli Emirati è difficile da descrivere.
Eppure, nonostante le loro diversità, questi Paesi sognano di poter fare fronte comune per sostituirsi all’Occidente, sulla base del fattore demografico, che li vede in forte vantaggio, e sulla base di una crescita che, dopo i guizzi degli anni passati comincia ad avere il fiato corto.
Il Paese guida dei Brics è la Cina, o almeno così vorrebbe che fosse Xi Jinping. Forte del suo terzo mandato e aspirando a governare a lungo Xi pensa di fare della Cina il protagonista assoluto dello scenario mondiale nei prossimi decenni.
Ma la Cina deve fare i conti con l’india e con l’interconnessione della sua economia proprio con quell’Occidente di cui vorrebbe la fine.
L’India non accetterà mai di essere “guidata” dalla Cina con cui tra l’altro ha forti contrasti territoriali e rivalità nell’area dell’Asia meridionale. E come la metteranno Arabia ed Emirati con la repressione al limite del genocidio operata dalla Cina contro la minoranza mussulmana turcofona degli Uiguri dello Xinjiang?
Peraltro, se la Cina decidesse di pilotare i Brics in una rotta di collisione col mondo occidentale finirebbe per innescare un gigantesco decoupling economico finanziario dagli Stati Uniti e dall’Europa che sono i suoi principali partner commerciali. Sarebbe un errore madornale che priverebbe la Cina di relazioni con economie ricche ed avanzate di oltre 800 milioni di persone per sostituirle con economie fragili e incomparabilmente più arretrate sul piano tecnologico.
La contrapposizione tra capitalismo e comunismo sovietico era basata su due inconciliabili visioni del mondo e non solo dell’economia. La contrapposizione che la Cina vorrebbe creare e guidare rispetto all’Occidente non ha alcun amalgama ideologico, nessun modello politico ed economico da proporre.
La stessa idea di costruire una moneta comune appare un progetto velleitario basato solo sui grandi numeri delle popolazioni che potrebbero adottarla ma non su una sottostante ricchezza e stabilità, indispensabili affinché la moneta non sia solo carta straccia o un manifesto di facciata.
Nonostante tutto questo, l’Occidente non deve sottovalutare la sfida e deve rispondere senza commettere gli errori del passato, remoto e recente. Quattro sono le linee strategiche che dovrebbe seguire e su cui torneremo con altri approfondimenti nei prossimi speciali di geopolitica de La Discussione:
- Potenziare e rafforzare la democrazia;
- Imprimere alla sua economia una forte spinta di innovazione, basata su ricerca, sviluppo e nuove tecnologie;
- Attrarre nella sua orbita altri Paesi promettenti come l’Indonesia, Singapore, il Vietnam, le Filippine, la Nuova Zelanda e la Malesia;
- Puntare ad uno sviluppo non coloniale ma rispettoso delle sovranità dei Paesi dell’Africa trascurati per troppo tempo.
Un lavoro enorme che va svolto insieme senza alcuna volontà di dominio sui Brics ma con la consapevolezza che le minacce non vanno mai sottovalutate.