Sergey Zimov, fondatore del museo del Pleistocene, e il figlio Nikita, stanno continuando nella realizzazione dell’idea di ricostruire l’ecosistema del Pleistocene. Il loro è un esempio concreto di come si può riparare la Natura, così come del resto ha fatto il Parlamento Europeo varando la legge che prevede oltre a non fare danni anche a riparare. Quello degli Zimov, in Siberia, non è solo di restauro ambientale, ma è una sperimentazione per la mitigazione del grande rischio ambientale che tutti noi stiamo correndo e per contribuire concretamente al contenimento del riscaldamento globale.
La steppa dei mammuth
Circa 12.000 anni fa quelle regioni era caratterizzato da un habitat che Zimov ha battezzato “la steppa del mammuth”. Sembra uguale, ma era tutto diverso da oggi: il suolo della tundra siberiana è mantenuto saturo di acqua dai muschi che ne impediscono l’evaporazione e tengono immagazzinata una grandissima quantità di carbonio. Parliamo di 500 Gt, due volte e mezzo quello contenuto in tutte le foreste pluviali del pianeta. Se il riscaldamento globale dovesse scongelare il permafrost della tundra tutto quel carbonio finirebbe in atmosfera con un effetto serra, probabilmente, devastante. Ecco che l’idea degli Zimov ha un senso: ricostruire l’ecosistema precedente l’Olocene potrebbe evitare questo rischio. Ma in questo ecosistema, appunto, c’erano flora e fauna – mammuth compresi – che ora non ci sono più. E così, da quasi trent’anni, padre e figlio continuano a popolare l’area del parco introducendo animali simil-grandi erbivori. È proprio qualche giorno fa la notizia che sono arrivati al parco del Pleistocene altri bisonti. Si tenta di popolare l’area con animali che potrebbero contribuire a ricostruire l’habitat. È stato appena firmato un accordo con il governo di Yamal e il Parco Naturale Ingilor per la fornitura di altri bisonti che, tra tutti gli animali sulla Terra, sono perfetti surrogati del grande erbivoro mammuth.
La scomparsa della megafauna
C’è un’area di quasi 15 milioni di chilometri quadrati, dalla Spagna all’Alaska, che attraversa tutta l’Europa, dove la scomparsa della “megafauna” potrebbe aver prodotto grandi cambiamenti anche nella vegetazione. Al di là delle notizie eclatanti o dei film terrorizzanti sul ritorno dei grandi erbivori del passato, va considerato che essi potrebbero aiutare a liberare, poco alla volta, anidride carbonica e quindi evitare collassi improvvisi. Renne, cavalli selvatici, antilopi, rinoceronti lanosi, antilocapre e mammut fanno parte di quel progetto di geoingegneria di Zimov, padre e figlio, che dovrebbe essere sostenuto da tutta la comunità internazionale. L’immissione di grandi erbivori in questa vasta area ridurrebbe lo scioglimento del permafrost ed eviterebbe il rilascio subitaneo di grandi quantità di CO2. Il problema è che servirebbero decine di milioni di grandi erbivori e per questo Zimov e suo figlio cercano accordi con mezzo mondo per poterli avere. Tra questi manca il “signore dei ghiacci”, il mammuth lanoso. Detto e fatto; negli ultimi anni si sprecano le notizie, soprattutto dagli Stati Uniti da università, centri di ricerca e aziende, della resurrezione del mammuth che ha il 99,6% del dna condiviso con l’elefante asiatico. Il filosofo ed evoluzionista Telmo Pievani, dell’Università di Padova, è dubbioso sulla liceità di un’operazione di questo genere perché la creatura riprodotta andrebbe ad abitare in un ambiente diversissimo da quello in cui aveva vissuto la specie che lo ha in parte preceduto. E qui si apre un altro grande tema che affronteremo in una prossima rubrica. Gli Zimos stanno curando. Noi tutti ci stiamo affrettando a curare.
Il giardino dell’Eden
Ma dovremmo anche imparare a prevenire e prendere il coraggio a quattro mani per cambiare stili di vita. Prevenire è come “venire prima” che accada, affrettarsi alla cura della Terra, ma anche di sé, dell’altro, perfino di chi non conosciamo e delle generazioni che devono ancora arrivare. Ora voglio citare anche il film Barbie visto da decine di milioni di persone, soprattutto ragazzi e ragazze che, magari aspirano a vivere come a Barbieland. Mi pare di capire, anche attraverso questo film, che l’attenzione alla vita della, e sulla, Terra sia fortemente connessa all’esigenza dell’Umanità di vivere sempre più a lungo “in un mondo fatato”. Non so se questo è dovuto alla perdita o alle trasformazioni della spiritualità, ma sicuramente, penso sia dovuta alla ricerca di un più diffuso benessere per fare della Terra stessa il giardino dell’Eden, qui e ora. Una specie di passaggio obbligato: se vuoi il giardino dell’Eden non devi più depredare la Terra, perché è la Terra stessa il giardino dell’Eden. Non so che cosa potrebbe pensare il Papa, che ha scritto la Laudato Sì, ma credo sia certo che un Pianeta addolcito nel clima e negli eventi atmosferici, più naturale, meno inquinato, più vivibile si ottiene con un’alimentazione più controllata, meno sprechi, un’aria non inquinata, un’industria non predatorie di risorse e flora e fauna in armonia. E quindi domando: quando decidiamo su sostenibilità, decarbonizzazione, cambiamento climatico è del destino della Terra che stiamo decidendo o della nostra speranza di vita?