L’ultimo a disperarsi è Guglielmo Gennaro Auricchio, presidente dei giovani di Federalimentare. Non più tardi di qualche giorno fa, l’ha fatto la Confederazione dei sindacati europei (Ces), prima ancora l’Ance, e anche Confindustria e Artigiani. Non c’è associazione di categoria che non lamenti la carenza, sempre più accentuata, di manodopera.
In questo 2023 le imprese sono alla ricerca di oltre mezzo milione di lavoratori (504mila), in scala percentuale la difficoltà di reperimento del personale è passata dal 38,6% del 2022 al 45,6% di quest’anno. Carenza che ha un costo stimato oltre i 14 miliardi di euro ogni anno. Secondo il ministero del Lavoro, Marina Elvira Calderone, oggi in Italia, su base annua, siamo arrivati a “un milione di posti di lavoro che non riusciamo a coprire”.
Proprio ieri, Auricchio, ha detto che “per il settore agroalimentare le tematiche relative al lavoro e ai lavoratori sono sicuramente tra le più calde in assoluto. Innanzitutto, il fabbisogno di lavoratori competenti ed uno dei problemi principali; come gran parte dei settori è sempre più difficile trovare operatori, soprattutto specializzati, in particolare per quei ruoli visti dagli esterni come lavori poveri e che però sono tutto fuorché poveri in termini di competenze richieste ed anche compensi”. “È certo”, spiega Auricchio, “che alcune filiere già ora hanno un costo del lavoro al limite della sostenibilità economica, anche se al contempo è vero che in alcuni casi ancora oggi si verificano fenomeni di sfruttamento terrificanti come il caporalato che sono sicuramente da combattere”.
La questione demografica
Chiari e scuri del mercato del lavoro che si associano al tema dell’immigrazione e degli andamenti demografici. In Italia sono presenti circa 6,4 milioni di immigrati, il 10% della popolazione totale del Paese, e di questi solo la metà è in età lavorativa (15-64 anni). Persone che, tra l’altro, si sommano agli autoctoni e che partecipano all’”inverno demografico”. Si stima che alla fine del 2023 la popolazione in età lavorativa avrà un altro calo del 7% e al 2050 crollerà quasi del 30%. Secondo un rapporto di Inps, l’età media della forza lavoro in Italia è salita dai 35,8 anni del 1985 ai 46,4 anni del 2023. Questo porterà gradatamente a squilibrare il rapporto tra occupati e pensionati; oggi in media si contano solo 111 lavoratori attivi ogni cento pensionati, ma in 39 province su 107 gli occupati sono già meno delle persone in pensione. C’è poi un altro aspetto: l’Italia lo scorso mese ha raggiunto il record storico di occupazione oltrepassando il 61%. Dati che fanno pensare a una carenza di manodopera sempre più causata da un’offerta che si riduce velocemente negli anni perché la popolazione italiana sta molto invecchiando. In più si è aggiunto un fenomeno nuovo: le dimissioni facili. L’anno scorso, si sono contate circa 2,2 milioni di dimissioni, ovvero il 13,8% in più rispetto all’anno precedente. E i posti vacanti a fine 2022 erano balzati al 2,3%. Va peggio nei paesi Ue dove i posti vacanti hanno superato il 3%.
Retribuzioni troppo basse
Sulla carenza di manodopera è intervenuta anche la Ces, secondo la quale la difficoltà, soprattutto per le aziende, non dipende dalla mancanza di competenze, ma dalle retribuzioni troppo basse. La Confederazione, infatti, ha invitato i governi nazionali a sostenere un aumento salariale e ad aumentare la percentuale di lavoratori coperti dalla contrattazione collettiva. Un’analisi Ces, de
Ance, senza manodopera Pnrr a rischio
Federica Brancaccio, presidente di Ance, l’associazione dei costruttori italiani, sostiene che “senza migranti completare il Pnrr è una sfida notevole”. E fa notare che su un totale di 222 miliardi di euro di fondi del Pnrr, 108 riguardano edilizia e costruzioni, per grandi infrastrutture, opere di manutenzione e messa in sicurezza di città e territori. La stima è che servirebbero almeno 300mila lavoratori solo per le costruzioni.