La morte della guida pakistana Mohammad Hassan sul K2 il 27 luglio ha sollevato una serie di interrogativi. Due alpinisti hanno sostenuto che Hassan avrebbe potuto essere salvato se tutti coloro che erano sulla montagna quel giorno avessero interrotto la loro scalata e si fossero concentrati per farlo scendere in sicurezza. Hassan era scivolato da uno stretto sentiero vicino alla cima della montagna più pericolosa del mondo. Lo sherpa è morto diverse ore dopo, mettendo in ombra il record stabilito dalla climber norvegese Kristin Harila e dalla sua guida sherpa, Tenjin, diventati gli scalatori più veloci del mondo. Harila ha respinto le accuse degli alpinisti: “Nelle condizioni nevose che abbiamo avuto lassù quel giorno – ha dichiarato – non sarebbe stato possibile portarlo giù. Sono sicura che se fosse stato possibile tutti ci avrebbero provato, ma era impossibile”.
Le polemiche
Le polemiche sono state scatenate dai filmati dei droni che mostravano dozzine di alpinisti intenti a spingere un Hassan gravemente ferito verso la vetta. Il percorso era affollato e descritto come l’ultimo giorno della stagione per una possibile ascesa. In Pakistan, il 7 agosto le autorità locali della regione del Gilgit-Baltistan, che ha giurisdizione sul K2, hanno formato un comitato di cinque membri per indagare sulla morte di Hassan. Il mandato del comitato ha rilevato che è fondamentale determinare i fatti dopo i “rapporti angoscianti che circolano su varie piattaforme di social media”.