Mostrarsi impunemente, senza più remore o timori. I social si trasformano in una perfetta vetrina per l’autopromozione non solo per gli influencer, ma anche per la Generazione Z delle reti criminali organizzate e sotto gli occhi di tutti. Il recente studio “Le mafie nell’era digitale” a cura della Fondazione Magna Grecia, in collaborazione con il professor Marcello Ravveduto, professore di Public and digital history presso le Università di Salerno e di Modena-Reggio Emilia, fornisce un attento studio di come la criminalità organizzata stia utilizzando i social media come strumento di comunicazione, di autoaffermazione, rafforzamento della rete relazionale e potere. Analizzando un vasto campione di contenuti online, tra cui commenti su YouTube, video su TikTok e tweet, i ricercatori hanno identificato una nuova generazione di criminali noti come la Google Generation Criminale. Queste nuove generazioni di mafiosi combinano abilmente il mondo reale e virtuale, utilizzando i social media come strumenti di sorveglianza per monitorare affiliati e nemici, stabilendo connessioni e organizzando azioni criminali.
“Lo studio che abbiamo promosso si pone l’obiettivo di definire i contorni e i contenuti delle modalità con cui le mafie vengono raccontate e comunicano nel mondo digitale – ha spiegato durante la presentazione stampa alla Camera Nino Foti, presidente della Fondazione -, anche perché siamo certi che sia fondamentale offrire strumenti di interpretazione e comprensione rispetto alla nuova criminalità organizzata, in un inedito intreccio tra reale e virtuale. Solo attraverso una reale presa di coscienza di questa situazione e a una conoscenza approfondita e strutturata del contesto è possibile costruire risposte che si radichino nella cultura comune”. La trasformazione digitale delle mafie rappresenta una sfida per le autorità, che devono adeguare le proprie strategie investigative e di contrasto. “Dobbiamo coprire questo gap e finirla di arruolare nei servizi segreti solo il poliziotto, il maresciallo – ha dichiarato Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Catanzaro -, dobbiamo assumere hacker altrimenti non riusciremo a essere competitivi con le migliori polizie del mondo. È un tema che va affrontato adesso, questo studio è l’attualità, perché tra cinque anni può diventare archeologia”. “Le mafie per esistere ormai hanno bisogno di pubblicità, di essere viste – ha proseguito il magistrato. E oggi questo bisogno si trasferisce anche in Rete. Per cui mi auguro che si punti sempre di più nella formazione della polizia giudiziaria, affinché stia dietro alla velocità con cui il mondo della criminalità organizzata si reinventa. Mi fido poco della fonte confidenziale”.
In particolare, TikTok si è rivelato cruciale per i giovani affiliati nell’ostentare il loro potere e controllo. I figli dei boss utilizzano la piattaforma per mostrare la loro ricchezza e promuovere uno stile di vita lussuoso, condividendo foto di auto, moto, barche, abiti di alta moda, accessori pregiati, luoghi di vacanza per milionari, locali di lusso e cibi raffinati. Questi rampolli del narcotraffico raccontano il successo delle imprese familiari, cercando di emulare lo stile di vita del jet set globale. Nel loro mondo comandare ed essere rispettati dipende principalmente dalla quantità di denaro posseduta.
La ricerca evidenzia anche i nuovi linguaggi adottati dalla criminalità organizzata: dalla musica trap al neomelodico, dalle macchine extra-lusso ai gioielli kitsch, dalle dediche di “presta libertà” per chi è in prigione all’ammirazione dei grandi boss del passato e alle emoji con significati criptati che sostituiscono i desueti pizzini. Nuove narrazioni che si inseriscono nella cultura popolare e vengono amplificate tramite i social anche tra giovani ignari del loro reale significato.
Lo studio è stato presentato da Antonio Nicaso, docente di Storia della criminalità organizzata presso la Queen’s Universityin Canada, che ha accolto con molto favore l’iniziativa considerato che in America l’uso dei social da parte della criminalità organizzata si è già trasformata da mezzo di propaganda e controllo in “braccio armato” per azioni criminose come ricatti ed estorsioni. E tutto fa pensare che anche qui lo scenario possa presto evolversi nella medesima direzione.