Il 27 luglio scorso la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n. 170 riguardante il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dal Senato della Repubblica a seguito di decreti di perquisizioni e sequestri di corrispondenza in violazione ai principi fondamentali di cui agli articoli 15 e 68 della Costituzione e alla consolidata giurisprudenza.
I decreti di perquisizioni e sequestri di corrispondenza riguardavano, in particolare, un parlamentare ed esattamente il Senatore Matteo Renzi, di cui al procedimento penale iscritto al n. 3745 del registro generale delle notizie di reato del 2019 presso la Procura della Repubblica del Tribunale ordinario di Firenze. Detto sequestro, purtroppo, era avvenuto senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza.
Con la suddetta sentenza, infatti, la Corte Costituzionale dichiara che non spettava alla suddetta Procura della Repubblica acquisire agli atti del citato procedimento penale corrispondenza riguardante il Senatore Matteo Renzi, costituita da messaggi di testo scambiati tramite l’applicazione WattsApp e altre persone, specificamente indicate in sentenza, nonché da posta elettronica, senza la preventiva autorizzazione, non sanabile da quella ex post ai fini degli utilizzi processuali.
La Consulta è stata costretta a far notare e rimarcare, in sintesi, come l’Organo inquirente non abbia esercitato quella dovuta accortezza e quella ovvia analogia di cui al progresso tecnologico e informatico nel concetto di comunicazione e corrispondenza, non rilevando la natura “occasionale” o “mirata” dell’atto per far venire meno l’autorizzazione preventiva di cui alla legge n. 140/2003. Ne è risultato, quindi, violato il terzo comma dell’art. 68 della Costituzione.
In esso, infatti, è detto – in sintesi – che è richiesta la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e sequestro di corrispondenza.
Vi è, altresì, un coordinato richiamo al precedente articolo 15 della Costituzione, riguardante proprio la libertà di corrispondenza e di comunicazione il quale così recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.”
La Consulta, in detta sentenza, sottopone al setaccio norme del codice penale e di procedura penale e richiama sentenze per argomentare sui delitti contro la inviolabilità dei segreti della corrispondenza, di impedimenti illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche (artt. 616 e 617 C.P.), articolo 617-quater del citato c.p. dal titolo “Intercettazioni, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche”, nonché l’articolo 254 codice di procedura penale, dal titolo “Sequestro di corrispondenza”.
Richiami non mancano anche al codice civile, articoli 1832, 1857 e all’articolo 119 t.u. Legge bancaria per dichiarare, invece, che spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze acquisire agli atti del procedimento penale n. 3745/2019 R.G.N.R. tramite decreto di acquisizione emesso l’11 gennaio 2021, l’estratto conto corrente bancario personale del senatore Matteo Renzi relativo al periodo giugno 2018- marzo 2020, come specificamente argomentato in sentenza.
In effetti, è stato affermato in sentenza che messaggi di posta elettronica e WattsApp rientrano a tutti gli effetti nel più ampio significato espansivo (vedi sentenza n. 81 del 1993) di corrispondenza e come tali acquisibili con la preventiva autorizzazione ai sensi dell’articolo 4 della legge n. 140/2003, quando riguarda parlamentari, non rilevando lo strumento e neanche la data storica delle comunicazioni, dipendente questa dalla volontà dei soggetti interessati farne venire meno l’interesse e la riservatezza.
È detto, altresì, in sentenza che: “La Corte europea dei diritti dell’uomo non ha avuto, d’altro canto, esitazioni nel ricondurre nell’alveo della corrispondenza tutelata dall’articolo 8 CEDU anche i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione “statica”, ossia già avvenuta, con riguardo alla posta elettronica, o a messaggistica istantanea con riguardo a dati memorizzati in floppy disk (sentenze CEDU Copland, Barbulescu, nonché sentenza CEDUdel 22 maggio 2008, Iliya Stefano contro Bulgaria, paragrafo 42). Indirizzo questo, recentemente ribadito anche in relazione a una fattispecie del tutto analoga a quella oggi in esame, (prosegue la Consulta) ossia al sequestro dei dati di uno smartphone che comprendevano anche SMS e messaggi di posta elettronica (Corte EDU, sentenza Saber, paragrafo 48).”
In altro passaggio fondamentale la Corte Costituzionale scrive, in merito al significato espansivo, in riferimento alla sentenza n. 81 del 1993, quanto segue: “Ad analoga conclusione questa Corte è, peraltro, più di recente anche con riferimento alla prerogativa parlamentare prevista dall’art. 68, terzo comma, Cost., ritenuta essa pure riferibile ai tabulati telefonici (sentenza n. 38 del 2019). A questo riguardo, si è osservato come non possa ravvisarsi una differenza ontologica tra il contenuto di una conversazione o di una comunicazione e il documento che rivela i dati estrinseci di queste, quale il tabulato telefonico: documento che – come già rilevato in precedenza ad altro fine (sentenza n. 188 del 2010) – può aprire squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare, specialmente istituzionali, “di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine e riguardanti altri soggetti (in specie, altri parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell’indipendenza e della libertà della funzione” (sentenza n. 38 del 2019).