Tra gli interventi per contrastare il dissesto idrogeologico c’è la proposta dell’Anbi, l’associazione nazionale dei consorzi di bonifica, che prevede centinaia di invasi multifunzionali. È un primo passo concreto a fronte di un piano di adattamento climatico che ancora manca, così come manca, al nostro Paese, un piano di interventi che affronti la questione in una prospettiva di lungo termine. In realtà ci sarebbe – l’ avevamo fatto partire, nel 2012, anticipando anche l’Europa – il famoso PNAC (Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici) che, però, è rimasto per più di un decennio dimenticato in qualche cassetto ministeriale.
A breve, invece, dobbiamo assolutamente partire con i cantieri, grazie anche al nuovo Codice degli appalti che velocizza le gare e gli assegnamenti dei cantieri, per poter mettere in sicurezza tutti i territori.
Ma non dimentichiamo che l’Italia ha caratteristiche geoambientali anche molto diverse da regione a regione e di questo va tenuto conto perché i singoli territori non potrebbero ottenere gli stessi benefici con gli stessi interventi. Certo è che possiamo essere i migliori nell’emergenza, ma viene anche il dubbio che lo siamo perché continuiamo a essere i peggiori nella pianificazione delle opere. Bisogna fare e bisogna fare bene. Gli strumenti, i dati sono disponibili ovunque, e ora con il Pnrr, ci sono e non mancano neppure i finanziamenti. Servono, invece, coordinamento e decisioni di governo; dall’Europa in giù.
L’escalation di eventi meteoclimatici, che tutti definiamo “estremi” quando stanno diventando, oramai, ordinari, non ammette più rinvii o ritardi nell’attivazione degli interventi possibili. Un solo dato basti a convincerci: in quasi tutto il Novecento abbiamo contato sei eventi catastrofali per decennio. Dal Duemila se ne contano un centinaio all’anno tra nubifragi, bombe d’acqua, alluvioni, cicloni tropicalizzati, uragani mediterranei, tempeste di vento, mareggiate e un’infinità di frane, smottamenti e incendi.
Un invaso polifunzionale è progettato per svolgere più ruoli oltre all’accumulo di acqua. Oltre alla regolazione del flusso idrico può essere utilizzato per scopi come l’irrigazione, l’energia idroelettrica, il controllo delle inondazioni e la fornitura di acqua potabile. La sua versatilità offre diversi vantaggi per la sicurezza idraulica. Regolando l’accumulo e il rilascio dell’acqua, l’invaso può limitare i danni alle comunità circostanti. In secondo luogo l’utilizzo di un invaso consente di ottimizzare l’uso di risorse disponibili. Il problema vero è che è essenziale una pianificazione e una gestione adeguata per massimizzare i benefici e dunque la cosa più importante finisce per essere soltanto la governance: il controllo della tempistica dei progetti e della loro esecuzione e la decisione perché si realizzino gli interventi nei tempi utili.
Per quanto riguarda il concetto di sostenibilità c’è stato un forte impulso da quando la finanza privata ha cominciato a dire che avrebbe investito prevalentemente in progetti sostenibili. Per questo diciamo che i finanziamenti, oggi, non mancano: la cosiddetta “finanza sostenibile” ha capito che non c’è profitto né futuro continuando a saccheggiare gli ecosistemi. Ma ora serve un passo avanti. Ora che anche la finanza pubblica è allineata a quella privata, serve lavorare con determinazione sulla ‘G’ dei famosi criteri Esg (Environmental cioè ambientale, Social cioè sociale e Governance cioè governo) ovvero sulla governance per mettere a terra tutti i progetti sostenibili che già abbiamo elaborato. Per la transizione ecologica reale va attivata una strategia coordinata, nazionale, ben pianficiata, finanziata senza sprechi e con precise fasi di gestione e controllo. E questo è affare del “G-overno” del Paese.