giovedì, 14 Novembre, 2024
Società

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma in grave affanno

Disfunzioni che mettono a rischio i diritti delle persone privare della libertà

Le istituzioni giudiziarie, pilastro del nostro sistema democratico, stanno vivendo un periodo di crescente tensione. In particolare, Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, come tante altre strutture giudiziarie nel Paese, soffre di significative carenze, soprattutto in termini di magistrati, personale amministrativo e di risorse finanziarie. Queste criticità non solo compromettono l’efficienza e l’efficacia dell’istituzione, ma influenzano anche in modo tangibile la vita quotidiana degli avvocati e delle persone detenute.

La scopertura organica dei magistrati a Roma ha diverse implicazioni negative. Innanzitutto, conduce ad un ritardo nei processi e nelle decisioni, limitando di conseguenza l’accesso tempestivo alla giustizia per i detenuti. Tale mancanza di organico inevitabilmente determina una maggiore pressione sul personale rimanente, che deve gestire un carico di lavoro superiore alla norma, con rischi concreti sulla qualità delle decisioni e per l’attività dei magistrati stessi.

Questo deficit non impatta solamente sulla qualità della giurisdizione, ma anche sul personale amministrativo. Il personale amministrativo è fondamentale per il corretto funzionamento dei tribunali, e la mancanza di personale in grado di fronteggiare tanto imponente carico di lavoro può causare e causa ritardi nell’elaborazione dei documenti, nell’organizzazione delle udienze e nelle altre attività di supporto, prima tra tutti quella, delicatissima,  relativa al compimento dell’istruttoria necessaria alla decisione di tali istanze, che è spesso deficitaria e sempre più spesso caratterizzata da incredibili ritardi che comportano il rinvio delle decisioni, anche relative a soggetti che versano in stato di detenzione.

Occorre però che il personale cambi l’approccio nei confronti degli avvocati, perché non sono più sopportabili posizioni supponenti e capziosamente burocratiche e si dimentica con troppa disinvoltura che l’avvocatura può fornire un serio contributo al puntuale e consono funzionamento di un ufficio sull’orlo del collasso.

La Camera Penale di Roma ha deliberato 3 giorni di astensione per evidenziare l’inefficienza della giurisdizione di sorveglianza, ricevendo l’adesione di tutte le camere penali del Lazio e di molte altre camere  penali nazionali.

Al tema, cui è stata dedicata una partecipata assemblea aperta, alla quale hanno preso parte molti politici, tra cui il sottosegretario alla giustizia On.le Ostellari.

Un primo rimedio, per migliorare la situazione attuale, potrebbe esser quello di  trasformare la competenza funzionale di Roma in tema di procedure ex art. 41bis O.P. rideterminandone la competenza territoriale, da allargare a tutti gli altri distretti giudiziari.

Questo significherebbe che il Tribunale di sorveglianza di Roma avrebbe competenza solo sul territorio di propria competenza, con conseguente sgravio di lavoro per le Cancellerie ed i Magistrati e comporterebbe la possibile rielaborazione di una giurisprudenza ormai ad appannaggio di unico Ufficio Giudiziario.

Tuttavia, questa soluzione presenta diversi problemi, non ultimo quello di carattere normativo: solo il Legislatore, infatti, potrebbe introdurre una simile modifica. Inoltre, la competenza territoriale potrebbe non risolvere la questione della scopertura organica, ma semplicemente spostarla sugli altri tribunali

È allora necessario un approccio più olistico che prenda in considerazione soluzioni a lungo termine, come ad esempio l’incremento delle assunzioni, l’investimento in formazione e sviluppo del personale, l’introduzione di strumenti tecnologici che possono semplificare e velocizzare alcune attività e l’implementazione di politiche volte a rendere maggiormente decorosa l’attività dei dipendenti.

Nel frattempo, però non sono ammissibili forme di agitazione come quelle proclamate dai sindacati dei lavoratori, perché tali iniziative si riflettono negativamente sul lavoro degli avvocati e dei magistrati, con inevitabili conseguenze sulla credibilità dell’intero Pianeta Giustizia.

Il 20 giugno u.s. il Direttivo della Camera Penale di Roma ha dovuto prendere atto delle iniziative di protesta del locale sindacato Cisl FP, adottate per denunciare la situazione in cui versa da tempo quel Tribunale (e il problema non sembra riguardare solo la Capitale), sottolineando ancora una volta come a far le spese di queste carenze siano innanzitutto i cittadini.

Per i non addetti ai lavori, ricordo che il Tribunale di Sorveglianza ha il compito di garantire la corretta esecuzione delle pene detentive e di quelle alternative alla detenzione, assicurando però il rispetto dei diritti delle persone condannate.

 Le sue funzioni principali comprendono:

  1. Delibazione delle istanze di accesso alle misure alternative alla detenzione: Il Tribunale di Sorveglianza, anche nella composizione monocratica del Magistrato di Sorveglianza, è chiamato a valutare se un detenuto ha diritto a benefici come la liberazione anticipata, la liberazione condizionale, i permessi premio, la semilibertà, la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova ai servizi sociali.
  2. Supervisione del Trattamento dei Detenuti: Il tribunale si assicura che i detenuti siano trattati in modo umano e rispettoso, e che le loro condizioni di detenzione siano conformi alla legge.
  3. Valutazione delle Misure di Sicurezza: Il tribunale è responsabile della valutazione delle misure di sicurezza applicate ai detenuti, per assicurare che queste siano proporzionate e necessarie e se sia utile procrastinarle.

Ci vuol poco a comprendere come la delicatezza di simili funzioni richieda di ridurre al minimo le disfunzioni, ma – almeno a Roma – la situazione è ormai divenuta insostenibile .

Le disfunzioni cui mi riferisco sono di diverso ordine:

  1. a) Personale

Il personale amministrativo è il cardine su cui si regge il funzionamento di un tribunale. Senza una squadra ben organizzata e adeguata, il processo di gestione dei casi si rallenta, portando a un accumulo di lavoro e a ritardi inevitabili nelle procedure. Al Tribunale di Sorveglianza di Roma, l’insufficienza di personale amministrativo, ma anche una organizzazione farraginosa, sta creando un collo di bottiglia burocratico, con la conseguenza che i tempi di esecuzione dei provvedimenti sono allungati.

  1. b) Mancanza di risorse finanziarie

Le limitate risorse finanziarie a disposizione del tribunale amplificano ulteriormente la situazione di difficoltà. Senza fondi adeguati, non solo non è possibile assicurare il normale svolgimento delle attività, ma è compromessa anche la possibilità di investire in tecnologie che potrebbero ottimizzare le procedure.

  1. c) Mezzi Inadeguati:

Le infrastrutture obsolete – o comunque inadeguate – possono rendere difficile, per il Tribunale, svolgere le sue funzioni in modo efficiente. Ma non rappresentare essere un facile alibi!

  1. d)Visione carcerocentrica e burocratizzata dei provvedimenti.

Queste disfunzioni sono state pure segnalate in un’interpellanza del Partito Democratico al ministro Nordio, nella quale però si accentua il ruolo del personale amministrativo, senza approfondire a sufficienza quello dei magistrati che mancano all’appello; l’esperienza ci insegna d’altronde che gli atti ispettivi del parlamento sul governo possono sicuramente evidenziare i problemi, ma raramente aiutano a risolverli.

Ritengo dunque indispensabile lanciare un ulteriore appello perché queste disfunzioni vengano al più presto superate, ma per far ciò è necessario preliminarmente che tutte le parti in causa siano d’accordo nell’identificare tali disfunzioni nei termini prima accennati.

Queste deficienze non solo compromettono l’efficienza e l’efficacia dell’istituzione, ma influenzano anche in modo tangibile la vita quotidiana degli avvocati e delle persone detenute.

Inoltre, la riduzione delle risorse e del personale genera un ritardo nelle comunicazioni tra il Tribunale e gli avvocati, con l’effetto di minare una adeguata preparazione dei difensori al processo ( in quanto costretti spesso a leggere le relazioni in aula perché pervenute in concomitanza con lo svolgimento del processo) e conseguentemente impossibilitati ad offrire degna  tutela ai diritti e alle prerogative  dei detenuti.

Le conseguenze più gravi, tuttavia, riguardano le condizioni dei detenuti stessi, in particolare di quelli astrattamente in possesso dei requisiti per ottenere l’accesso alle misure alternative al carcere.

Il ritardo nell’analisi dei casi, causato dalla mancanza di risorse umane e finanziarie (innanzitutto quelle scaturenti dalla mancanza del numero di magistrati previsti in pianta organica) comporta che molti detenuti  non possano nemmeno ambire ad una rivalutazione complessiva della proprio posizione, spesso profondamente mutata anche a seguito dell’esperienza detentiva.

Questo triste fenomeno rappresenta una “chiara e manifesta” violazione dei loro diritti fondamentali, oltre ad esporre il sistema penale a potenziali azioni legali per detenzione ingiusta.

Il quadro che emerge è di un sistema giudiziario in affanno, che compromette il diritto di difesa e la possibilità per i detenuti di beneficiare delle misure alternative al carcere previste dalla legge.

E’ perciò indifferibile un intervento che vada oltre le singole emergenze, per ripristinare l’efficienza e la credibilità del nostro sistema giudiziario, assicurando a tutti un trattamento equo e conforme alla legge. Il rispetto dei diritti fondamentali non può e non deve, in ogni caso, essere una vittima collaterale della crisi del sistema giudiziario, anche sotto il profilo delle modalità di esecuzione della pena.

Auspico che il Sottosegretario alla Giustizia apra il prima possibile un tavolo al ministero per discutere sul da farsi e trovare le soluzioni.

Soluzioni che appaiono inderogabili.

*Presidente della Camera Penale di Roma

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