Dal 15 al 20 maggio si è tenuta a Durban, in Sudafrica, la V Conferenza mondiale sul lavoro minorile, che ha coinvolto governi, organizzazioni datoriali, associazioni di lavoratori e altri partner impegnati in questa lotta. Un incontro che ha prodotto un chiaro appello all’azione e a una serie di misure prioritarie per intensificare gli sforzi volti a eliminare questa piaga sociale, che vede “milioni di ragazze e ragazzi” condannati “ad arare i campi, a lavorare nelle miniere, a percorrere grandi distanze per attingere l’acqua e a svolgere lavori che impediscono loro di frequentare la scuola, per non parlare del crimine della prostituzione minorile”. Condannati, cioè, “a una vita di impoverimento economico e culturale”. Sono queste le parole che Papa Francesco ha inviato a Durban perché si trovassero “modi appropriati ed efficaci di proteggere la dignità e i diritti dei bambini, soprattutto attraverso la promozione di sistemi di protezione sociale e l’accesso all’istruzione da parte di tutti”.
152 ML di bambini sfruttati, +9 ML solo nel 2023
A questo si è ispirata la Giornata mondiale contro il lavoro minorile 2023, un’occasione per richiamare l’attenzione sulle forme inaccettabili di sfruttamento di bambini e adolescenti nel mondo. Nonostante i progressi significativi compiuti negli ultimi due decenni dopo l’adozione nel 1999 della Convenzione dell’ILO (l’Organizzazione internazionale del lavoro dell’Onu) n. 182 sulle forme peggiori di lavoro minorile, questo è tornato a crescere negli ultimi anni. Secondo le ultime stime Unicef-ILO sono ancora 152 milioni i bambini e adolescenti — 64 milioni sono bambine e 88 milioni sono bambini — vittime di lavoro minorile. Metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Inoltre si registra un incremento di 8,4 milioni di bambini negli ultimi 4 anni, che inverte il precedente trend che vedeva il fenomeno diminuire di 94 milioni tra il 2000 e il 2016. Senza misure mirate per mitigare l’impatto delle criticità in corso si prevede che potrebbe aumentare di quasi 9 milioni entro la fine del 2023.
In Italia nel 2020 1 minore su 4 a rischio povertà
Il fenomeno del lavoro minorile è diffuso a livello globale e coinvolge tutti i Paesi, sia direttamente sia attraverso i canali del commercio mondiale e delle filiere di approvvigionamento globali. Anche l’Italia non ne è immune: secondo l’EUROSTAT nel 2020 un minore su quattro (24,9%) era a rischio di povertà ed esclusione sociale. Il rapporto dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha evidenziato che la dispersione scolastica riguarda principalmente i bambini e gli adolescenti delle scuole secondarie di primo grado, soprattutto nel Mezzogiorno e nelle isole, con la Sicilia che registra il tasso più elevato. In queste Regioni si osserva una correlazione apparente tra abbandono scolastico e lavoro minorile, in particolare per ragazzi tra i 14 e i 15 anni.
Alla base dell’abbandono scolastico la necessità di lavorare
La protezione sociale e l’accesso a un’istruzione di qualità sono diritti umani fondamentali e inalienabili per prevenire il lavoro minorile, soprattutto durante le crisi multiple e interconnesse come quelle che stiamo vivendo attualmente. Il lavoro precario di molti giovani e adulti è una delle principali cause che costringono alcune famiglie a far lavorare i propri figli anziché mandarli a scuola. È molto probabile che un bambino, che non ha accesso all’istruzione perché costretto a lavorare, diventi un lavoratore povero per tutta la vita. Per spezzare questa catena di povertà ed esclusione sociale, è necessaria un’azione sinergica che comprenda interventi mirati sull’istruzione e la formazione dei bambini e degli adolescenti per raggiungere l’obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, che mira a porre fine a tutte le forme di lavoro minorile entro il 2025.