L’eco non si è ancora affievolita. Il bombardamento mediatico, orchestrato soprattutto dai potenti media in mano alla sinistra, continua. Una serie di refrain che non accusano né pause né tentennamenti: la Rai espropriata, si sta mettendo anche peggio di quanto avvenne con l’editto bulgaro di Berlusconi, stanno fascistizzando il servizio pubblico, è allarme democratico.
Siamo alle solite. Tutto quello che fa la sinistra è lecito, rispetta la Costituzione, la civiltà, la democrazia. È il progresso, bellezza. Se lo fa la destra, andata legittimamente e democraticamente al governo, apriti Cielo, si profilano minacciosi prodromi di un golpe imminente, è a rischio la nostra libertà, conquistata con la Resistenza e con la liberazione dai nazifascisti.
Ma è proprio vero? Il governo Meloni sta occupando la Rai e asservendo il servizio pubblico? Se si vanno a guardare i fatti e si tenta di ragionare ci si accorge, invece, che, in tema di occupazione del servizio pubblico la sinistra ha fatto di peggio. Molto di peggio. E non si capisce il perché (anzi lo si capisce perfettamente) di questo sommovimento mediatico che sembra non voler mai finire.
Tutto il ragionamento deve partire da una premessa: valutare i tre grandi spostamenti finora concretizzatisi sotto il consiglio di amministrazione, peraltro solo in parte modificato dal governo Meloni.
Partiamo dall’amministratore delegato, Fuortes. Nessuno lo ha cacciato, si è dimesso. Ha fatto sapere che, a suo giudizio, (ripetiamo suo) non c’erano più le condizioni che gli avrebbero consentito di svolgere in autonomia il suo compito.
L’altra grande “vittima” sarebbe Fabio Fazio. Ora, che non fosse “digeribile” per Meloni e company è evidente. Ma il governo attuale, sulla sua fuoriuscita della Rai, non ha alcuna responsabilità. La decisione di non rinnovagli il contratto in scadenza è stata adottata dal governo Draghi e lui, consapevole di dover lasciare, ha trovato per tempo la soluzione più conveniente, soprattutto per le sue tasche, identificabile con l’approdo a Rete 9, una rete arrembante e piena di aggressività commerciale. Il quarto polo televisivo, dopo Rai, Mediaset e La7.
Infine la Annunziata. Se ne è andata sua sponte, con alti lamenti contro il governo. Non ci sono più spazi di agibilità, ha tuonato. Ma nessuno l’ha mandata e, stando a quanto trapelava, nessuno aveva intenzione di mandarla via. Anche lei da giornalista del servizio pubblico ha preso una decisione “politica”, che la dice lunga su quello che può essere stato il suo atteggiamento di conduttrice in tutti questi anni. Evidentemente la brava Lucia intende che il servizio pubblico sia imparziale solo se non c’è al comando un governo di centrodestra. Se la Rai è indirettamente governata dalla sinistra le va bene. Ha dimenticato, evidentemente, di essere stata eletta, in passato, presidente della stessa Rai dal governo Berlusconi2, quando il centrodestra assicurava all’opposizione una poltrona di prestigio. Salvo poi a dimettersi, un anno dopo, perché non condivideva le nomine operate dal direttore generale. Avrebbe voluto, democraticamente, i pieni poteri: faccio il presidente (pardon la presidentessa), ma voglio anche la gestione delle scelte operative. Le nomine le faccio io. Strano modo di interpretare le attribuzioni derivanti da un incarico pubblico.
Tutto ciò premesso vediamo ora come si sono comportati i precedenti governi con le nomine Rai, a partire dalla riforma Gasparri in poi, cioè dal 2005.
La Meloni si è insediata il 22 ottobre 2022 e il consiglio di amministrazione della Rai, come detto solo parzialmente modificato dal Ministero competente, ha scelto Roberto Sergio come amministratore delegato il 25 maggio 2023. Quindi l’influenza del governo si sarebbe palesata solo dopo 8 mesi e 4 giorni dall’insediamento. E c’è anche da sottolineare che le modifiche hanno sì riguardato la direzione di due importanti Tg, l’1 e il 2, ma che al Tg3 è stato confermato Mario Orfeo e sono stati confermati anche altri importanti responsabili di testate e di strutture. E persino il presidente, pardon la presidentessa, è rimasta al suo posto. Al contrario di quanto avveniva, in genere, con il subentro di governi di centrosinistra, quando la rivoluzione della governance era copernicana.
Ma gli altri governi quanto tempo hanno impiegato per modificare o far modificare l’assetto della governance Rai?
Partiamo dal governo Prodi2. Insediamento il 17 maggio 2006. Il professore non perde tempo, il 22 giugno, cioè un mese e 5 giorni dopo (un occupatore seriale, autentico Speedy Gonzales) defenestra la precedente accoppiata (Curzi-Cattaneo) e insedia alla presidenza non uno qualunque di area, un tecnico super partes di garanzia. Ci mancherebbe! Sceglie, invece, un duro e puro vecchio dirigente del partito comunista, Claudio Petruccioli e come direttore generale gli affianca Cappon.
È invece molto più cauto e attendista il successivo governo Berlusconi4, che si insedia il 7 maggio 2008 e poiché ha necessità di crearsi una Rai meno competitiva rispetto alla sua Mediaset, se la prende comoda e “interviene” solo il 26 marzo 2009, facendo nominare l’accoppiata Garimberti-Masi. Un tempo lunghissimo, quindi, 10 mesi e 20 giorni. Nessuna fretta di “occupazioni militari”, di blitz improvvisi, tipo quello precedente di Prodi.
Sulla linea della cautela si schierano anche i successivi governi Monti e Renzi. Il primo “interviene” dopo sei mesi e 22 giorni (eletti Tarantola-Gubitosi) e il secondo batte tutti i record di ponderatezza e cambia la governance addirittura dopo un anno, 5 mesi e 13 giorni (scelti Maggioni-Dall’Orto). Eppure Renzi nell’immaginario collettivo è stato sempre fatto passare come un accentratore e uno strenuo sostenitore del suo “cerchio magico”. Tranquillo anche Gentiloni, che interviene dopo 5 mesi e 28 giorni (Maggioni-Orfeo).
Molto più veloci, invece gli ultimi due governi precedenti Meloni. Conte fa in fretta e furia. Si insedia l’1 giugno 2018 e il 31 luglio, meno di due mesi dopo allontana Maggioni-Orfeo per sostituirli con Foa-Salini. Draghi non smentisce la prassi, ma non è frenetico come Prodi e Conte: si insedia il 13 febbraio e cinque mesi dopo fa insediare Soldi-Fuortes.
Abbiamo riferito dei cambi di governance dalla riforma Gasparri in avanti. Ma anche prima la sinistra non scherzava. Il solito Prodi nel 1996 aveva impiegato un mese e 23 giorni ad insediare il tandem Siciliano-Iseppi. Insomma per farla breve, se si volesse stilare una classifica degli “occupatori” più veloci avremmo Prodi al primo posto assoluto, tallonato da Conte e dal Berlusconi 1. Maglia nera Renzi, il più ritardatario. Solo nelle ultime posizioni, al penultimo posto, si piazza proprio la Meloni. Insomma i fatti e i numeri smentiscono clamorosamente i piagnoni. È solo spoil system, una pratica nata negli Stati Uniti nel lontano 1820. Alla quale la sinistra italiana, come si è dimostrato, ha sempre fatto ricorso, con grande tempestività.
Ma loro sono sbrigativi, hanno una missione salvifica e democratica da portare a compimento: devono subito liberare la Rai, e quindi il Paese (giammai Nazione) dal pericolo che i dirigenti trovati in carica possano soffiare in direzione della ricostituzione del disciolto partito fascista.