venerdì, 15 Novembre, 2024
Economia

Giovedì 8 giorno di “liberazione fiscale”. Nel 2022 tasse al 43,5%. Terzi in Ue

Per il 2023 sono 158 le giornate lavorative necessarie per rispettare gli obblighi con lo Sato

Sarà giovedì 8 giugno “il giorno di liberazione fiscale”. Per questa data (158 giorni dall’inizio dell’anno) i contribuenti italiani terminano di pagare le tasse, le imposte, i tributi e i contributi sociali necessari per far funzionare le scuole, gli ospedali, i trasporti. Per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici, le pensioni.
A fare calcoli e riflessioni è la società di analisi socio economiche, Cgia di Mestre. “Giovedì 8 giugno, pertanto, festeggiamo il ‘giorno di liberazione fiscale’, in altre parole, se dall’inizio di gennaio al 7 giugno abbiamo lavorato per onorare le richieste del fisco, dal giorno successivo e fino al prossimo 31 dicembre, invece, lo facciamo per noi stessi e per le nostre famiglie”.

I primi 158 giorni per lo Stato

L’Ufficio studi della Cgia spiega che per l’anno in corso sono stati necessari ben 158 giorni di lavoro – sabati e domeniche inclusi – per adempiere a tutti i versamenti fiscali previsti quest’anno: Irpef, Imu, Iva, Irap, Ires, addizionali varie, contributi previdenziali/assicurativi. Rispetto al 2022, il tax freedom day di quest’anno “cade” un giorno prima. La società mestrina rivela come si è giunti a stabilire che l’8 giugno è il “giorno di liberazione fiscale” del 2023.

Il calcolo di tax freedom day

“La stima del Pil nazionale prevista quest’anno (2.018.045 milioni di euro) è stata suddivisa per 365 giorni”, evidenzia l’Ufficio studi, “ottenendo così un dato medio giornaliero (5.528,9 milioni di euro)”.
Stando ai calcoli delle previsioni di gettito delle imposte, delle tasse e dei contributi sociali che i percettori di reddito verseranno quest’anno (874.132 milioni di euro) e sono state rapportate al Pil giornaliero. “Il risultato di questa operazione”, illustra la Cgia, “ha consentito all’Ufficio studi di calcolare il tax freedom day del 2023 dopo 158 giorni dall’inizio dell’anno, ovvero il prossimo 8 giugno”.

Nel 2022 il record di tasse

La società mestrina puntualizza anche un dato storico. “Dal 1995, la data del “giorno di liberazione fiscale” meno in là nel calendario si è verificata nel 2005”, conteggia, “in quell’occasione, la pressione fiscale si attestò al 39 per cento e ai contribuenti italiani “bastò” raggiungere il 23 maggio (142 giorni lavorativi) per lasciarsi alle spalle l’impegno economico richiesto dal fisco”. Osservando sempre il calendario, quello più in “ritardo“, invece, si è registrato nel 2022, “allorché la pressione fiscale ha raggiunto il record storico del 43,5 per cento e, di conseguenza, il giorno di liberazione fiscale è scoccato il 9 giugno”.

L’impennata dei costi

Per chiarezza l’Ufficio studi segnala il perché del picco record di pressione fiscale toccato l’anno scorso. “Che non è ascrivibile”, puntualizza, “ad un aumento del prelievo imposto a famiglie e imprese, ma da una serie di altri fattori che si sono concentrati nel 2022”. “In particolar modo”, elenca la Cgia, “dall’impennata del costo dei prodotti energetici importati e dal deciso aumento dell’inflazione che hanno spinto all’insù il gettito dell’Iva; dall’incremento dell’occupazione che ha contribuito ad aumentare le imposte dirette e i contributi previdenziali”.

Il peso del carico fiscale

Il fatto che l’ufficio studi pone in evidenza, al di là di date, e ragionamenti, che il “giorno di liberazione fiscale” non costituisce un principio assoluto, ma “un esercizio teorico che dimostra empiricamente, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sia eccessivo il carico fiscale che grava sugli italiani”. “Una specificità”, fa presente l’Ufficio studi, “che emerge in misura altrettanto evidente anche quando confrontiamo la nostra pressione fiscale con quella dei paesi UE”. “Nel 2022, infatti, solo la Francia e il Belgio hanno registrato un peso fiscale superiore al nostro”, esamina la Cgia, “se a Parigi la pressione fiscale era al 47,7 per cento del Pil, a Bruxelles si è attestata al 45,1 per cento. Da noi, invece, ha toccato la soglia record del 43,5 per cento”.

In Europa Italia al terzo posto

Facendo i raffronti con i 27 Paesi Ue, la Germania si è posizionata al 9° posto con una pressione fiscale del 41,9 per cento, mentre la Spagna la scorgiamo al 12° posto con il 38,5 per cento. La media dei Paesi dell’Area dell’Euro è stata del 41,9 per cento.

L’ingorgo fiscale di Giugno

Dalle analisi alla quotidianità il passo non è confortante. E l’Italia è nel guado della burocrazia. “La realtà, purtroppo”, segnala la Cgia, “presenta ancora livelli di complicazione/difficoltà molto elevati. In questo mese di giugno, ad esempio, i contribuenti italiani sono ‘attesi’ da ben 115 ‘appuntamenti’ fiscali, in media quasi 4 al giorno”.

Cosa prevede il calendario

Sono 50 le scadenze. Le prime: l’imposta sostitutiva, Iva, ritenute, Tobintax, imposta intrattenimenti, etc; dovranno essere versate entro il 16 giugno; poi c’è la comunicazione del canone Tv entro il 20 giugno; 55 versamenti: Irpef, addizionali, cedolare secca, ritenute, Iva, Ires, Irap, imposte sostitutive, etc.; 4 dichiarazioni: Irpef, sostitutive, Intra, etc.; 4 comunicazioni: contratti di locazione, informazioni finanziarie a fini fiscali tra stati UE, etc; e una istanza canone Tv entro il 30 giugno.
“Sono scadenze, ovviamente, che non interesseranno tutti”, osserva la Cgia, “i contribuenti, tuttavia danno il senso della farraginosità e della complessità del nostro fisco”.

Regioni ricche più tassate

Sono i cittadini della Provincia Autonoma di Bolzano a versare il maggior numero di tasse al fisco. Nel 2019 ogni residente di questo territorio ha pagato mediamente 13.158 euro tra tasse, imposte e tributi. Seguono i lombardi con 12.579 euro, i valdostani con 12.033 euro, gli emiliano-romagnoli con 11.537 e i laziali con 11.231 euro. “La Calabria, invece”, fa presente l’Ufficio studi, “è l’area dove il peso del fisco è più contenuto: ogni residente di questo territorio ha pagato all’erario mediamente 5.892 euro”. Infine il dato medio nazionale è pari a 9.581 euro.

Il divario tra Nord e Sud

Per l’Ufficio studi non deve sorprendere le differenze tra il nord e il Mezzogiorno. “Il nostro sistema tributario, infatti, è basato sul criterio della progressività”, spiega la Cgia, “Pertanto, nelle regioni dove i livelli di reddito sono maggiori, grazie a condizioni economiche e sociali migliori, anche il gettito tributario presenta dimensioni più elevate che altrove”. Va altresì segnalato, aggiunge l’Ufficio studi della società mestrina, “che nelle aree geografiche dove il settore primario ha un’incidenza rilevante sull’economia complessiva, le agevolazioni previste dal legislatore (in particolare le deduzioni fiscali) riducono in misura importante la base imponibile dei contribuenti appartenenti a queste attività e, conseguentemente, anche il gettito totale delle imposte versate all’Erario da quella regione”.
Infine, per il calcolo del gettito pro capite regionale è stato considerato, conclude la Cgia, “l’ammontare complessivo delle imposte versate al fisco da ciascun territorio, pertanto il dato sarà maggiore in particolar modo nelle realtà geografiche dove la presenza delle attività economiche è più diffusa”.

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