Cade quest’anno il centocinquantesimo anniversario della morte di Alessandro Manzoni. Era nato infatti il 7 marzo 1785 e morto il 22 maggio 1873. Non sappiamo ancora se in questo clima di “cancel culture” ci saranno celebrazioni adeguate per ricordare questo grande italiano. Anche perché c’è stato addirittura chi ha chiesto di eliminare il suo studio dalle scuole secondarie superiori. Certamente, però, non ci capiterà di veder ricordato o solo menzionato, nemmeno dai suoi estimatori, tra le varie opere dello scrittore milanese da salvaguardare e da proporre alle nuove generazioni il saggio, invero assai poco noto, “La Rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859”.
Non molti, infatti, sanno che il poeta degli “Inni sacri” aveva anche scritto questo saggio; solamente alcuni, poi, ne conoscono per sommi capi il succo; pochissimi, infine, hanno letto l’intero volume e tra questi sicuramente il prof Rosario Ameno ed il prof Augusto Del Noce, con i quali ne parlai, nel corso di due interviste che mi rilasciarono alcuni anni fa. Entrambi convennero sull’importanza del libro e sulla necessità di farlo conoscere.
Il fatto è che al potere culturale, editoriale e politico non è mai piaciuto dover ammettere e, quindi, far sapere al grande pubblico, che uno scrittore del calibro del Manzoni, studiato da tutte le ultime generazioni di studenti, amato da molti di essi, abbia potuto scrivere un’opera nella quale ha documentato e dimostrato, senza mai cadere in un ottuso reazionarismo, che la Rivoluzione Francese non era affatto inevitabile; che, invece, sono stati gli uomini, certi uomini, ad “inventare l’inevitabile” (come successivamente affermò, dimostrandone mirabilmente i meccanismi e le tecniche, Augustin Cochin); che Luigi XVI non era per niente un re assolutista contrario alle riforme, che, anzi, aveva proposto alla vigilia della convocazione degli Stati Generali; che il sistema dell’ancien regime poteva essere reso più giusto senza provocare il male ed i disastri che afflissero la Francia e l’Europa; che la rivoluzione è stata un tutt’uno di illegalità e di terrore e che non può essere suddivisa, come ha tentato di fare qualcuno in malafede, “in due tempi affatto diversi: il primo, di intenti benevoli e sapienti e di sforzi generosi; il secondo di deliri e scellerataggini”; che insomma, l’Ottantanove portò il terrore e “l’oppressione del paese, sotto nome di libertà”.
Manzoni, dunque, contro la rivoluzione, che ha dato i natali al mondo moderno; Manzoni, come qualcuno ha scritto, contro la storia; Manzoni antirivoluzionario: è un vero e proprio scacco per la cultura ufficiale! Per questo è calata su quest’opera una vera e propria coltre di silenzio. (cfr. il Cap. XVII del mio libro “Rivoluzione e dintorni. (dalle prime reazioni all’illuminismo alla controrivoluzione cattolica) dal titolo: “Il Manzoni “antirivoluzionario”, Editoriale Pantheon).
Ed a questa operazione di occultamento e di rimozione dalla memoria si sono prestati anche molti cattolici.
Sia quelli di orientamento liberal-democratico, che avendo da sempre tentato di giustificare e di far apparire compatibile la Rivoluzione e le sue “verità impazzite” con il messaggio evangelico, hanno operato un vero e proprio ostracismo per tutti quegli autori e quei testi che non risultassero funzionali alla strategia di “accomodamento” della dottrina della Chiesa ai valori comuni del mondo. Sia quelli di sponda controrivoluzionaria, che non hanno ancora rimosso o attenuato il vecchio, ottocentesco rancore verso le aperture liberali e le simpatie unitarie del vecchio scrittore.
Scritto con la maestria letteraria che tutti abbiamo avuto modo di apprezzare attraverso le opere più note, il saggio, sostenuto da una documentazione originale e rigorosa, si snoda con la forza appassionata di un romanzo, nel quale si muovono i personaggi, che furono i protagonisti della Rivoluzione, con le loro passioni, i loro pregi ed i loro difetti. Anche le similitudini utilizzate dall’Autore risultano, come del resto ciascuno ha potuto sperimentare leggendo le sue opere più note, efficacissime e suggestive come quella, ad esempio, che si riferisce appunto, alla Rivoluzione e che viene ripresa dal “Discorso sulla storia longobardica”.
“Una rivoluzione… nella quale non si questioni solamente dell’uso o delle condizioni del potere, o chi ne deve essere investito, ma sia messo in questione il principio medesimo del potere, è un gran viaggio, che s’intraprende, credendo di non aver a fare altro che una passeggiata. O, se ci si passa un’altra similitudine (che è un gran mezzo di dir le cose in breve, col rischio, si sa, di non dirle punto), è una scala, nella quale, stando giù, si prende per l’ingresso d’un piano abitabile quello che non è altro che un pianerottolo; e quando ci s’è arrivati, si scopre un’altra branca che non s’aspettava, e dopo quella, un’altra, e… e a caposcala, al luogo dove si starà di casa, quando s’arriva? quando, voglio dire, comincia uno stato di cose, alla durata del quale si creda, e che duri in effetto? Né singoli casi … fin che quel momento non è arrivato, lo sa il Signore: in astratto, lo può dire ognuno”.
L’approfondita indagine psicologica, poi, delle folle e dei singoli personaggi, la colorita descrizione degli scenari ambientali e sociali, il preciso raffronto tra la Rivoluzione americana e quella francese, che non hanno nulla di analogo (come già dimostrò Edmund Bruke), i toni pacati delle argomentazioni, la difesa equilibrata dello stato monarchico e del re di Francia, la partecipazione emotiva ai singoli avvenimenti, la sua rigorosa scelta di campo contro ogni sopraffazione ed ogni sopruso, sono, tra gli altri, requisiti che difficilmente si possono trovare in altri testi e che dovrebbero indurre almeno i cattolici a fare di tutto per rompere il muro di omertà e silenzio che circonda questa “Rivoluzione” di Alessandro Manzoni.