“Cosa nostra” continua ad esercitare il suo diffuso, penetrante e violento controllo sulle attività economiche, imprenditoriali e sociali del territorio; se negli anni precedenti il dato statistico aveva mostrato qualche cenno di diminuzione va sottolineato che nel 2019 le denunce sono state ben 151 a fronte delle 65 e 69 dei due anni immediatamente precedenti.
A livello distrettuale quindi si registra un aumento di ben il +132%. È quanto si legge nella relazione del presidente della Corte di appello di Palermo, Matteo Frasca, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Per i giudici palermitani, il fatto più importante degli ultimi anni per Cosa nostra riguarda la morte, avvenuta il 17 novembre del 2017 del Boss Totò Riina.
“Da parte di alcuni – si legge nella relazione – si era temuto il verificarsi di gravi fatti di sangue, ma ad oggi si deve escludere, con ragionevole certezza, non solo l’insorgere di una guerra di mafia, ma anche di episodici e numericamente limitati omicidi di ‘assestamento’. Dalla morte di Riina ad oggi sono stati prevenuti tre omicidi, due entrambi nel territorio di Belmonte Mezzagno, in data successiva al fermo dell’allora capomandamento Bisconti Filippo. Per i due omicidi si può presumere che gli stessi siano stati disposti da una fazione ‘violenta’ che ha preso il comando del territorio di Belmonte Mezzagno, profittando del vuoto di potere lasciato dal Bisconti”.
Secondo i magistrati palermitani la morte di Riina “ha contribuito ad accelerare i processi non conflittuali di riorganizzazione dei vertici dell’organizzazione e delle altre strutture decisionali intermandamentali. Quanto detto si traeva già dalla percezione dello stato di attesa della morte del Riina, quasi di impazienza, diffusa in una certa frangia di ‘cosa nostra’, per svolgere l’attività di riorganizzazione, con la precisazione che tale frangia deve essere individuata all’interno degli stessi ‘corleonesi'”.