Sono passati 31 anni da quel pomeriggio del 23 maggio 1992 e il ricordo permane indelebile negli occhi e nella mente di tutti. Nulla è, però, possibile paragonare al dolore atroce e incancellabile formatosi nei cuori dei singoli familiari, per il vuoto incolmabile, mentre nelle Istituzioni e nei servitori dello Stato questo giorno viene ricordato come un impegno ad impedire analoghi fatti efferati. L’evento premeditato e studiato nei minimi particolari, ha raffigurato una scena straziante e raccapricciante cui le Istituzioni e, in particolare, le Forze di Polizia e la Magistratura, hanno reagito con fermezza e tempestività, non facendo mancare, neanche per un attimo, la fiducia nello Stato.
Cinque sono state le vittime, l’obiettivo era il Giudice Giovanni Falcone, che si era dedicato, “con disciplina ed onore”, come dal giuramento prestato, secondo il dettato dell’articolo 54 della Costituzione, al suo incondizionato dovere di magistrato nel quale ruolo era ben consapevole dei rischi sistematici ai quali si era continuamente esposto ed anche palesemente minacciato ed anche scampato ad un precedente attentato del quale si erano formati anche dubbi sulla veridicità dei tempi e modalità dello scampato attentato sulla spiaggia dell’Addaura il 21 giugno del 1989.
Insieme al giudice Falcone, il 23 maggio del 1992 hanno perso la vita la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, esattamente gli agenti di Polizia Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono numerosi feriti, tra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Giovanni Falcone inizia la sua carriera di magistrato giovanissimo, ad appena 26 anni, come Pretore e subito dopo, per un lungo periodo come sostituto procuratore e giudice istruttore. Insieme ad altri magistrati – tra i quali Rocco Chinnici, assassinato il 29 luglio 1983 e a Paolo Borsellino, anche lui assassinato a distanza di meno di due mesi dal suo amico e collega, il 19 luglio dello stesso anno 1992, mentre pigiava il citofono di casa della mamma, in Via d’Amelio di Palermo – si ritrova a gestire indagini per fenomeni mafiosi complessi, anche con legami internazionali, divenendo una figura scomoda per le organizzazioni criminali. La sua poliedrica carriera di magistrato, per i numerosi funzioni e incarichi esercitati, è costellata di soddisfazioni ma anche di amarezze e delusioni come in tutte le vicende umane. Ha dovuto, tra l’altro, gestire le indagini di delitti eccellenti, quali Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre.
Dal 1991 era stato chiamato a dirigere la Sezione Affari Penali del Ministero della Giustizia, dal Ministro pro-tempore Claudio Martelli e, per tale impegno, il pomeriggio del sabato 23 maggio 1992, dopo il viaggio in aereo Roma/Palermo, a bordo dell’auto, insieme alla moglie ed agli uomini di scorta, faceva ritorno a casa.
I significativi segnali dell’elevata capacità criminale delle organizzazioni mafiose hanno avuto come risposta l’immediata operatività della Direzione investigativa antimafia di cui era già pronta la legislazione (D.L. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito nella legge n.410/1991), alle dipendenze della Direzione Nazionale antimafia, nonché delle strutture periferiche interforze – Centri Operativi – che si interfacciano con le Procure Distrettuali Antimafia, entrambe coordinate dai rispettivi Organi Centrali.