Con la più grande e ultima rivoluzione popolare del Novecento, l’11 febbraio 1979 cadeva la dittatura monarchica in Iran. Come spesso accade nella storia, gli eventi di quella rivoluzione sostanzialmente camminavano su due piani paralleli e talvolta tra di loro sghembi. Su un primo piano le rivendicazioni democratiche del popolo nelle strade di Teheran e di altre città, su un secondo piano le negoziazioni e le decisioni nei palazzi sulla sorte del Paese al di sopra del popolo.
Dopo il massacro del venerdì nero, 8 settembre 1978, e l’uccisone di decine di manifestanti, gli Stati Uniti, quando compresero che la rivolta iraniana contro la dittatura monarchica era arrivata a un punto irreversibile, pensarono che bisognasse intervenire. Smisero di sostenere il monarca; occorreva trovare qualcuno accettabile per le masse nelle strade e affidabile nei palazzi. La Persia rischiava, dopo decenni di immobilismo politico e di illusione di modernità imposti dai Pahlavì, di riprendere il cammino verso la democrazia, iniziato al principio del Novecento!
Il 77enne ayatollah Ruhollah Khomeini, alloggiato nella città santa degli sciiti, Najaf in Iraq, poteva essere un buon candidato al fine di cambiare tutto per non cambiare nulla. Allora il 6 ottobre 1978 Khomeini si trasferì da Najaf a Parigi, nella cittadina di Neauphle-le-Château, dove fu messo nel megafono della propaganda dei paesi liberi e democratici. I mass media dei paesi liberi e democratici fecero centinaia di intervista con il vecchio ayatollah, che dispensava parole rassicuranti; così i contatti con i mediatori si intensificarono. Infine il 7 gennaio 1979 nella Guadalupa francese i quattro grandi paesi occidentali, Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia, decisero la sorte del gendarme del Golfo persico, Mohammad Reza Shah, e il 1° febbraio l’ayatollah Khomeini con un volo dell’Air France mise piede sulla terra dell’Iran accolto da milioni di persone, eccitate e assetate di libertà. Il filosofo francese Michel Foucault, che all’epoca scriveva da Teheran per il Corriere delle Sera, infatuato dall’Ayatollah non soltanto non si accorse della realtà complessa dell’Iran, ma nel vecchio religioso vide l’arrivo del messia nell’antica terra di Persia. Con Foucault quasi tutta l’intellighenzia occidentale, soprattutto la sinistra in Italia e in Francia, disillusa dalla sua rivoluzione promessa mai avvenuta, prese una cotta per il religioso Khomeini. Povero Paul-Michel Foucault, una volta tornato a casa, s’accorse dell’abbaglio, ma non aprì più bocca e portò con sé nella tomba, nel giugno 1984, quella allucinante illusione. Ora e soprattutto dopo decenni non è difficile pensare che la dittatura teocratica in Iran sia figlia della dittatura monarchica dei Pahlavi che aveva edificato scientificamente una società politica ermetica e asfissiante.
Una nuova rivolta del popolo dell’Iran, iniziata il 15 settembre 2022, dopo l’uccisione di Mahsa Aminì, si è estesa in tutto il Paese. Mentre qui in Occidente gli esperti hanno continuato a soffermarsi sul velo delle donne iraniane, gli iraniani in Iran hanno riempito le strade ribadendo il desiderio di sempre: Azadì, Libertà. E quindi la fine, senza se e senza ma, della dittatura in Iran di ogni genere, monarchica o religiosa. Le manifestazioni si sono estese in circa 300 città, piccole e grandi, del Paese.
Le forze di repressione, i pasdaran, hanno ucciso oltre 750 persone, tra cui molti giovani e anche bambini, e arrestato decine di migliaia tra i manifestanti. Il regime dei mullà sin dal suo insediamento non ha voluto, né potuto, dare risposte alle istanze democratiche della popolazione. In oltre quarant’anni di dittatura ha distrutto il Paese e l’ha messo sul lastrico in ogni settore. Con la sua incapacità proverbiale e la corruzione endemica ha demolito l’economia del Paese dove l’inflazione galoppa oltre il 50%. Con la repressione e la disumanità delle sue leggi ha sancito l’insanabile estraneità della teocrazia con le giovani generazioni e con tutta la società civile. In questi decenni le proteste ci sono state sempre e ogni volta sono state represse nel sangue. La protesta del 2009 del ceto medio alto di Teheran, in Occidente passata come “onda verde”, che portava in sé un prevedibile fallimento, i cui leader Mussavi e Karuobi provenivano dal corpus del regime, è stata comunque sedata con una violentissima repressione.
L’attuale e inarrestabile processo del rovesciamento del regime è partito dalle proteste scoppiate nel 2017 per il carovita del ceto meno abbiente. Le proteste sono seguite nel 2019, generate dai rincari triplicati del prezzo della benzina dalla sera alla mattina. Il regime con i suoi feroci pasdaran, massacrando i manifestanti, è riuscito a sopravvivere. La feroce repressione sedava e congelava le proteste e l’arrivo della pandemia ha permesso al regime di tenere gli iraniani, provvisoriamente, a distanza dalle piazze. Ma la corruzione persistente e istituzionalizzata e l’inadeguatezza storica del regime, il sostegno al terrorismo internazionale, la folle prosecuzione sul nucleare e una continua guerra contro tutto il mondo hanno fatto sì che in Iran il ceto medio scomparisse del tutto. Oltre l’80 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. In questo contesto, il barbaro assassinio di una ragazza curdo-iraniana è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: ha reso non più tollerabile la sopportazione dei soprusi ed è scoppiata una rivolta che si è maturata in una rivoluzione democratica.
Se nella rivolta del 2017 erano scesi in piazza i ceti meno abbienti e nella rivolta del 2019 la città di Teheran, la capitale, era rimasta sostanzialmente ai margini, questa nuova rivolta in atto in tutto il Paese comprende tutti i ceti della società e si espande in tutto il Paese ed è organizzata con chiari e precisi obiettivi: punta alla fine del regime teocratico in Iran.
A questo punto una cosa è certa: il regime teocratico è arrivato al capolinea. A testimonianza di questo, la nascita di alternative e coalizioni improvvisate, schiuma dell’oceano in tempesta, sostenute più o meno dalla stampa occidentale, che vivono pochi giorni o tutt’al più qualche settimana. Alternative costruite ad arte, con un piede nel regime e un occhio alle cancellerie occidentali, che cercano soluzioni in continuità con il passato, comunque estranee alla democrazia. Il compito nemmeno tanto celato di queste è sbiadire e insabbiare l’alternativa democratica del Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri), costituito nel 1981, e del suo gruppo principale i Mojahedin del popolo (Mek). Il CNRI una coalizione democratica, composta da diversi gruppi e personalità democratiche del Paese, che da oltre quarant’anni lotta contro la dittatura teocratica con oltre 120mila caduti. Il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana con una strategia chiara e trasparente vuole abbattere il regime e consegnare il Paese al popolo sovrano per costruire l’Iran laico e democratico. A fronte della Resistenza organizzata del popolo iraniano che ha le radici nella lotta secolare del Paese, i mass media in lingua farsi, al di fuori dell’Iran sostenuti dai governi stranieri, e di riflesso parte della stampa occidentale danno con perseveranza adito a formazioni ambigue, che non si esprimono con chiarezza, né su come rovesciare il regime né sul futuro democratico dell’Iran. Anche una tv nazionale, si accoda e intervista, sebbene a notte fonda, il figlio dell’ultimo sciah, il dittatore cacciato dal popolo nel 1979. Il giornalista chiamandolo “altezza” gli rivolge le solite domande rotonde e soprattutto omette di chiedere della spietata polizia segreta di suo padre. Omette di chiedere delle persone che tuttora portano i segni dell’atroce tortura della famigerata SAVAK e della dittatura asfissiante di quel periodo. Omette di chiedere del danaro portata via dalla sua famiglia e non chiede quale sia il suo programma per rovesciare la dittatura al potere e quale sia la sua idea per il futuro Iran. Forse il ritorno al trono e il restauro della monarchia?
La domanda politica fondamentale per la democrazia occidentale è questa: accetterà un Iran libero, democratico, laico e basato sullo stato di diritto? Possiamo pensare che l’Iran, il Paese più antico del mondo, non è la provincia evocata dal film Amarcord di Federico Fellini, costretta a scegliere tra la reazione fascista o clericale?