La cornice di riferimento che orienta lo sforzo planetario per migliorare le condizioni di sostenibilità dello sviluppo economico è costituita dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritto nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi “comuni” per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals – in un grande programma d’azione per un totale di 169 ‘target’ entro il 2030.
‘Obiettivi comuni’ significa che essi riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno escluso. E’ un obiettivo che non ha confine, che coinvolge 8 miliardi di persone e, sicuramente, anche tutte quelle che verranno in futuro. Le cosiddette prossime generazioni.
Questo mondo infinito, però, ha delle frontiere. Frontiere legislative, politiche, settoriali, ideali.
La nostra frontiera è quella europea. L’Europa, infatti, è il blocco politico-economico nel mondo che per primo, e in modo sempre più convinto, ha avviato un processo di implementazione di politiche e normative sempre più stringenti con l’obiettivo di alzare la soglia delle obbligazioni, soprattutto per le imprese, rispetto ai temi della responsabilità per lo sviluppo sostenibile. Uno dei cardini del Green Deal Europeo, il programma di investimento comunitario a sostegno delle politiche economiche degli Stati membri per la resilienza e il rilancio prevede in pochi anni la mobilitazione di oltre 1000 miliardi di euro che si aggiungono a quelli previsti in altri piani già approvati in passato per azioni che si propongono di coniugare la crescita economica con lo sviluppo sostenibile.
Il PNRR significa, di fatto, riduzione di impatto ambientale ed aumento posti di lavoro in un Europa che vuole raggiungere importanti obiettivi climatici ma anche di PIL complessivo. E in questo quadro l’Italia si trova ad avere il primato dello Stato con maggiori fondi PNRR; quasi 650 miliardi in un contesto climatico unico, l’Hot Spot del Mediterraneo. Il mare piu’ caldo e, di conseguenza, l’ambiente soggetto a fenomeni climatici anche estremi.
Un “Hot Spot” climatico è una regione particolarmente colpita da variazioni climate change. Noi italiani ci siamo dentro in pieno e mi chiedo se siamo pronti a scegliere e discernere i migliori progetti, per adattare l’Italia ai cambiamenti in questo tempo di Transizione da un vecchio modello eocnomico ad un nuovo modo di vivere, lavorare e produrre. Capaci o non capaci, non abbiamo scelta. Pronti o meno pronti il futuro ci sorpassa, quindi siamo di fronte più che a una scelta a una necessità. Il clima è “un bene comune”, scrive Papa Francesco nella Laudato Sì e “l’umanità è chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano.”
E’ inutile parlare di fonti rinnovabili, e di obiettivi di 8 Giga/anno quando si attendono i bandi PNRR specifici per Biometano e Fotovoltaico e Comunità Energetiche. Per non parlare dell’idrogeno, dove non sono chiari i progetti ‘Hot Spot’ italiani che devono essere costruiti entro il 2026. Questo governo, in termini “storici ambientali”, si è appena insediato, ma ora deve esserci una pianificazione seria di numeri e territori per costruire un futuro che chiede azioni conseguenti a scelte già fatte su una strada comune che l’Unione Europea ha dato. Il nostro continente ha frontiere consolidate, è il più “vecchio” di tutti i continenti, ma per quanto riguarda le nuove politiche ambientali può dimostrare di non avere frontiere: puo’ essere nuovamente apripista della nuova Storia del mondo. Scriveva Piero Angela, che è stato attento divulgatore scientifico e perciò grande umanista:
“Non esiste il futuro, o almeno noi non lo conosciamo, forse gli astrologi che attraverso gli astri possono fare previsioni, ma noi no, esistono tanti futuri possibili, dipende solo da noi quale vogliamo scegliere”.