Quella alla crisi idrica si sta trasformando nella sfida più importante per tutti i Paesi del mondo, a cominciare dall’Italia. Senza acqua non è possibile sopravvivere e far girare l’intera economia tanto da essere chiamata da alcuni “oro bianco”. «Non c’è vita senza acqua. L’acqua è un bene prezioso, indispensabile per tutte le attività umane» è, infatti, la frase che apre la Carta europea dell’acqua, approvata nel 1968.
In Australia, Stati Uniti e Israele esistono già da 50 anni
Alcune delle nostre Regioni puntano su nuovi invasi in cui raccogliere l’acqua dolce, altre sui desalinizzatori. Ma c’è anche chi capitalizza l’acqua dei propri fiumi, immagazzinandola nelle cavità del sottosuolo e creando una vera e propria “Banca dell’acqua”. Un progetto che in Australia, Stati Uniti e Israele è in uso da 50 anni e che in Italia sta sperimentando nella Val di Cornia, vicino Livorno, il Consorzio di Bonifica 5 Toscana-Costa. “Con la Water Banking – ha spiegato Rudy Rossetto, ricercatore del Crop Science Research Center della Scuola di Superiore Sant’Anna di Pisa – intendiamo immagazzinare nei periodi di maggiore disponibilità’, cioè quando piove, fino a due milioni di metri cubi”.
Un progetto a impatto zero
Il sottosuolo, dove in natura si conserva il 99% delle acque dolci, è il miglior deposito delle riserve idriche del pianeta. Il progetto “life rewat” non ha fatto altro che replicare questo modello naturale. È stato sviluppato dalla Scuola Superiore Sant’anna di Pisa, insieme alla Regione Toscana e Asa, Acque Sotterranee spa, come progetto pilota di una serie di altre sperimentazioni. Anche la Regione Emilia Romagna ha creato una banca dell’acqua nel riminese e molte aziende stanno pensando a impianti simili. Si basa su tecniche di ricarica con breve tempo di realizzazione, costi relativamente contenuti – quello in Val di Cornia è costato 500mila euro – e soprattutto a impatto ambientale zero, perché non c’è ricorso tanto al cemento quanto all’elettronica e non c’è impatto paesaggistico.