Un gruppo di ricerca australiano guidato da tre docenti universitari, Amira Farzana Samat, Dee Carter e Alì Abbas, della Scuola di Ingegneria Chimica e Biomolecolare dell’Università di Sydney, ha dimostrato come due comuni ceppi fungini siano in grado di degradare al 100% in 140 giorni il “polipropilene” (PP), il materiale plastico che viene utilizzato per la produzione di molteplici oggetti di uso comune: bicchieri per il caffè, imballaggi, cruscotti per le auto, contenitori per alimenti, tappi delle bottiglie, eccetera. Si stima che circa un terzo dei rifiuti plastici presenti nel mondo sia composto proprio dal polipropilene, in grado di decomporsi solo dopo centinaia di anni. Il suo tasso attuale di riciclaggio è stimato in meno dell’1%, poiché viene regolarmente contaminato da altri materiali.
Secondo gli autori australiani l’esperimento effettuato potrebbe agevolare la riduzione della grande quantità di plastica che inquina l’ambiente.
Lo studio, pubblicato venerdì scorso sulla rivista scientifica Materials Degradation, ha dimostrato l’efficacia dei funghi “’Aspergillus terreus” e “Engyodontium album” nel degradare diversi prodotti in “PP”. Il primo fungo è una muffa normalmente presente nei terreni tropicali, che può provocare severe infezioni nell’uomo e negli animali, il secondo è anch’esso un agente potenzialmente patogeno e si trova comunemente nel suolo e nella vegetazione in decomposizione. Prima di diventare “aggredibili” dai funghi, i detriti plastici devono essere pretrattati con la luce ultravioletta, fonti di calore o un reagente chimico, permettendo agli organismi di fare il proprio lavoro di scomponimento in particelle più semplici affinché possano essere assorbite o distrutte.
Sorprendentemente, mediante i test in laboratorio è stato riscontrato che questi organismi riducono le molecole di origine sintetica del 21% in 30 giorni e fino al 25-27% dopo più di 90 giorni. Questi risultati hanno spinto gli esperti australiani ad indagare ulteriormente sul ruolo dei processi biologici offerti da funghi e altri organismi nell’accelerare il deterioramento della plastica.
Il professor Alì Abbas, docente presso l’ateneo australiano, ha dichiarato: “È il più alto tasso di deterioramento riportato in letteratura che conosciamo al mondo”.
I ricercatori hanno altresì spiegato che tale importante scoperta potrebbe diventare un metodo industriale in grado di risolvere una parte significativa dell’inquinamento ambientale, rendendo la riduzione più rapida ed efficiente, intervenendo su diversi parametri come la concentrazione di funghi da utilizzare, le temperature e le dimensioni della plastica data loro “in pasto”.
Il professor Dee Carter, esperto di micologia, ha affermato: “Questo superpotere è dovuto alla sua produzione di potenti enzimi, che vengono espulsi e utilizzati per abbattere i substrati in molecole più semplici che le cellule fungine possono poi assorbire”.
Secondo l’autrice Amira Samat, circa 109 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica si sono accumulate nei fiumi del mondo e 30 milioni di tonnellate negli oceani, inoltre si stima che questa enorme quantità supererà presto la massa totale dei pesci. In questo contesto, i ricercatori ritengono che il loro metodo potrebbe aiutare l’ambiente, visto che i funghi possono “abbattere” quasi ogni tipo di materiale plastico.