lunedì, 18 Novembre, 2024
Economia

Italia lentissima nella spesa dei fondi. Un miracolo salvare i progetti Pnrr

Sorpresi dai ritardi dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza? Sconcertati dal fatto che da sempre non riusciamo a spendere i fondi che l’Europa ci assegna? No, è tutto nella norma, per l’Italia i ritardi della Pubblica amministrazione rientrano nella consuetudine. A non meravigliarsi affatto è la società di analisi socio economiche Cgia di Mestre, con l’Ufficio studi che pone in evidenza la “consapevolezza” della “storica difficoltà” dell’Italia a utilizzare tutti i soldi che giungono da Bruxelles.

Indietro tutta

In riferimento ai fondi di coesione, ad esempio, osserva la Cgia, non sono pochi quelli riferiti al settennio 2014-2020 che, entro la fine del 2023, rischiamo di perdere, “sebbene la spesa ipotetica annuale necessaria per mettere a terra tutte le risorse disponibili ammonti solo a 9 miliardi di euro”, ma, ecco il punto: non riusciamo nemmeno a spendere i soldi assegnati ben 9 anni fa.

Obiettivi irraggiungibili

“Affrontando con lo stesso approccio”, ragiona la Cgia, “anche il Pnrr tra il 2023 e il 2026 dobbiamo spendere mediamente 42 miliardi di euro all’anno per poter realizzare tutti i progetti previsti dal piano”.
Una cifra, quest’ultima, 4,5 volte superiore alla precedente. “È evidente”, osserva la società mestrina, “che raggiungere questo obbiettivo sarà quasi impossibile”.

Miliardi da restituire

Dei 64,8 miliardi di euro di fondi europei di coesione messi a disposizione dell’Italia nel periodo 2014-2020, di cui 17 di cofinanziamento nazionale, “poco meno della metà (29,8) dobbiamo ancora spenderli”, calcola l’Ufficio studi, “Se non lo faremo entro la fine di quest’anno, la parte non utilizzata dovrà essere restituita”.
L’impossibilità di spendere Con il Pnrr l’ennesima dimostrazione di come l’Italia fatica moltissimo a spendere entro i termini stabiliti i soldi che sono messi a disposizione dall’UE. Ora il dubbio è palese: se non riusciamo a spendere 9 miliardi di euro ogni anno dal 2014; “con il Pnrr come faremo tra il 2023 al 2026, a spendere 42 miliardi di euro l’anno?”, si chiede la Cgia.

Ritardi e inefficienze

In Italia le opere durano troppo, sforando i tempi previsti, a confermarlo sono istituzioni economiche nazionali di prim’ordine. Secondo la Banca d’Italia a fronte di un investimento di 300 mila euro, nel Paese la durata mediana per la realizzazione di un’opera, “è pari a 4 anni e 10 mesi”, riferisce la Cgia, “La fase di progettazione dura poco più di 2 anni (pari al 40% della durata complessiva), l’affidamento dei lavori dura 6 mesi e sono necessari oltre 2 anni per l’esecuzione e il collaudo. “Per un investimento di cinque milioni di euro, invece”, osserva la società mestrina citando Bankitalia, “il tempo di realizzazione è di ben 11 anni”.

La corsa ad ostacoli

Auspicando che il nuovo codice degli appalti, spera l’ufficio studi della Cgia, e le riforme che interesseranno la nostra Pubblica Amministrazione, “si riducano in misura significativa queste tempistiche, appare comunque evidente che difficilmente entro i prossimi 44 mesi riusciremo a mettere a terra tutti i progetti previsti dal Pnrr”.

Grandi opere, grandi tempi

Ritardi anche per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026

Nella cabina di regia tenutasi a Venezia presso Palazzo Balbi, sede della Giunta regionale, è emerso che il 20% delle opere previste inizialmente non verrà ultimato prima dell’inizio dei Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina (febbraio 2026). In Veneto, ad esempio, difficilmente sarà ultimata la variante di Cortina e, probabilmente, anche quella di Longarone. “In Lombardia”, altro caso evidenziato dalla Cgia, “invece, a rischio sono la variante di Trescore – Entratico e quella di Vercurago, lungo la nuova strada Lecco-Bergamo”. “Insomma, nel nostra Paese rispettare il cronoprogramma per la realizzazione delle grandi infrastrutture è un’operazione sempre molto difficile”, sottolinea l’Ufficio studi, “Inoltre, gli aumenti dei costi delle materie prime e dell’inflazione hanno peggiorato la situazione; spesso il ritardo accumulato in questi ultimi 2 anni è riconducibile anche a questi rincari che non hanno permesso l’assegnazione dei lavori o lo stato di avanzamento degli stessi e quindi l’avvio o l’ultimazione dei cantieri nei tempi prestabiliti”.

Investimenti poco redditizi

C’è un altro aspetto sul quale bisogna riflettere, ossia le ricadute e i benefici reali sul Prodotto interno lordo, procurato dai miliardi che vanno a finanziare grandi opere. “Il Piano nazionale di ripresa è costituito”, ricorda la Cgia, “da 235,6 miliardi di euro, di cui 191,5 riconducibili al Recovery Found, 30,6 a un fondo complementare e gli altri 13,5 miliardi di euro al React-EU. Di questi 235,6 miliardi, 52,6 verranno investiti per “progetti in essere”, ovvero già previsti, mentre i restanti 183 andranno a finanziare “nuovi progetti”. “Pertanto”, calcola la Cgia, “nel 2026 la crescita del Pil, anno in cui si concluderà l’azione del Piano, dovrebbe essere più alta di 3,6 punti percentuali rispetto allo scenario che si verificherebbe senza l’effetto degli investimenti aggiuntivi”.

Le previsioni ottimali

Una previsione, quest’ultima, che viene prefigurata “nello scenario ottimale, ovvero”, insiste l’Ufficio studi, “che gli investimenti vengano spesi in maniera efficiente, che le condizioni monetarie siano favorevoli e che non vi siano ripercussioni negative sul premio del rischio sovrano”.

Gli scenari di spesa

Condizioni che, ovviamente, nessuno, osserva la società di Mestre, “può confermarci che si verificheranno”. “Se, rispetto a quanto riportato, il quadro generale fosse meno ottimistico, il nostro Pnrr ipotizza altri 2 scenari: uno medio con una crescita del Pil del 2,7 per cento e uno basso con un incremento dell’1,8 per cento”.

Sul Pil effetto modesto

Analizzando solo lo scenario ottimale, l’Ufficio studi della Cgia segnala che a fronte di 183 miliardi di investimenti, nel 2026 avremo un aumento strutturale del Pil di circa 70 miliardi, determinando un moltiplicatore del Pil pari a 1,2. “Un risultato non particolarmente esaltante, se si tiene conto che, secondo uno studio della Banca d’Italia”, puntualizza l’Ufficio studi, “la realizzazione delle opere pubbliche può avere ripercussioni importanti sulla crescita economica di un paese se il moltiplicatore della spesa pubblica per investimenti è compreso tra l’1 e il 2. È vero che l’1,2 per cento previsto dal Governo Draghi nel PNRR ricadrebbe nella forchetta indicata dalla Banca d’Italia, ma è altrettanto vero”, fa presente la Cgia, “che raggiungeremo questo obbiettivo solo se tutto andrà per il verso giusto; cosa che molti osservatori dubitano, vista la cronica inefficienza che caratterizza buona parte della nostra Pubblica”.

Le previsioni inaffidabili

C’è infine un sotto aspetto, che la società di analisi socio economiche, rileva. “La mole di burocrazia che attanaglia il paese, l’incapacità storica di spendere tutti i fondi europei”, conclude lo studio della Cgia, “Va ricordato, inoltre, che l’Italia non desta una elevata affidabilità in materia di previsioni macro economiche. I dati dell’European Fiscal Board (organo consultivo indipendente della Commissione Europea) sono impietosi: tra il 2013 e il 2019 siamo il Paese che ha ‘sbagliato’ di più. Un’altra ragione”, conclude l’Ufficio studi, “per dubitare che saremo in grado di raggiungere la crescita del Pil del 3,6 per cento e, conseguentemente, disporre di un moltiplicatore dell’1,2”.

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