Gerard Manley Hopkins non era un vittoriano serioso e convenzionale. Entrato nella Compagnia di Gesù all’età di ventiquattro anni, bruciò tutta la sua poesia e “decise di non scrivere più, in quanto non appartenente alla propria professione, se non per volontà dei suoi superiori”. Molte poesie, lettere e pensieri del diario del poeta furono scritte nei vent’anni successivi della sua vita e pubblicate postume nel 1918.
I suoi versi sono plasmati dalle tensioni creative e dai paradossi di un poeta gesuita-sacerdote che voleva evocare sensualmente l’essenza spirituale della natura e comunicare tale rivelazione in linguaggio naturale, costruito su ritmi di parole usando una dizione condensata e innovativa. Intenso, vitale e originale, la scrittura di Manley Hopkins è il “terribile cristallo” attraverso il quale l’anima – l’inscape, la natura delle cose – può essere illuminata. L’autore britannico precursore della modernità, illumina il concetto di Resurrezione, all’insegna dell’equazione sconfitta=vittoria, celebrando il sacro oltre lo scandalo.
Poco conosciuto e studiato in Italia, Manley Hopkins ha coniato i famosi termini inscape, instress, selving per esprimere la sensazione di fronte al trascendente. Formatosi nell’accademia di Oxford, Hopkins fin da subito ha manifestato un forte desidero nella ricerca nel primo principio dell’essere in tutte le cose trovando fondamento nelle opere di John Ruskin. Empatico verso il dato naturale e terreno, il poeta prova un estatico entusiasmo per la Natura che diviene per lui un libro sacro. Hopkins non vede solo il bello ma anche il vero mentre il poeta che è in lui scompone e seziona l’oggetto della propria osservazione in tutte le unità costitutive per studiarne la natura intima: è durante questa fase iniziale che Hopkins adotta il neologismo inscape, per descrivere l’ordine che non trovava altrove. Scape infatti indica le qualità proprie del tutto, ma percettibile anche attraverso l’osservazione di una singola parte.
La poesia stessa per Hopkins, incarna l’inscape, non solo nel contenuto ma anche nella forma retorica: la poesia ripresenta gli inscapes colti dall’autore nel momento dell’intuizione cognitiva e si eleva a trasmissione simbolica dell’intuizione dell’inscape al lettore e diviene il mezzo privilegiato con cui Hopkins attua la correlazione tra inscapes “naturali” e “artistici” e la spinge fin quasi alla coincidenza. La parola di Dio dunque è leggibile e risulta chiaro il senso della crocifissione di Gesù, della sua morte.
Hopkins in una omelia (da sovrapporre alla sua poesia Pasqua riportata alla fine dell’articolo), che tenne il 25 aprile 1880 nella chiesa di S. Francesco Saverio a Liverpool mostra come Gesù fece e insegnò, attendendo al bene, sfidando a provare che avesse commesso anche una sola colpa. Ma chi lo accusava non sapeva provare, ma solo condannare: lo dicevano ubriacone e mangione, inosservante del Sabato, falso profeta, bestemmiatore, malfattore delle strade, e gridavano al governatore romano. Gli accusatori prevalsero: egli fu giudicato come un malfattore, venne crocefisso tra due ladroni, annoverato tra i malviventi, dalla parte dei diavoli, lui Gesù Cristo, il giusto.
«Quando venne abbattuto Cristo il pastore, le sue pecore si sparpagliarono e senza di lui non si sarebbero più riunite; tagliata la testa tutto il corpo sarebbe andato in pezzi; quando Cristo morì tutte le sue parole e opere vennero infatti atterrate, tutto sembrò finito per sempre, e il trionfo del suo nemico, il mondo, apparve quel giorno completo.
Ma non intesero, i nemici di Cristo, che il loro apparente trionfo era una totale disfatta, e che la sua apparente sconfitta era una gloriosa vittoria. Poiché non era il mondo che Cristo era venuto a combattere, ma il reggitore di questo mondo, il demonio. Il mondo egli non veniva a condannarlo, ma bensì a salvarlo. Ma mentre egli predicava a loro e tentava di salvarli, essi venivano giudicati dal mondo come lo avevano ricevuto; e perciò gli disse: adesso il mondo deve essere sottoposto a giudizio, adesso il reggitore del mondo deve essere scacciato e io, sebbene tagliato fuori dalla terra, eliminato dalla terra, io tirerò a me ogni cosa. Poiché questo era accaduto, che i reggitori del mondo, i diavoli, avevano crocefisso il Signore della gloria e nell’istante stesso della sua morte si vedevano disfatti, condannati, scacciati, il loro imperio di peccato sulle anime degli uomini dissolto e le redini del potere universale raccolte in pugno alla vittima crocefissa».
Poiché tutto era compiuto, poiché Gesù ha marcato una via; stando a Luca, Gesù in croce esercita in pieno la propria autorità regale mostrando la vittoria nella sconfitta; “dogma” che in Gerard Manley Hopkins si fa poesia.
Pasqua
Spezza il vaso e versa il nardo;
oggi non badare a spese;
porta perle, opali, sarde;
non contare oggi la perdita del povero;
spendi tutto in onore di Cristo:
onora questo Giorno di Pasqua.
Edifica la sua Chiesa e vesti il Suo santuario,
anche se fosse vuoto sulla terra;
hai serbato il vino perfetto:
lascialo correre per la gioia del Cielo;
afferra l’arpa e soffia nel corno:
non sai che è il mattino di Pasqua?
Mieti dai cieli la gioia
la sapienza dal suolo;
i fiori schiudono gli occhi al vento
e scoprono la gloria della primavera
la terra si spoglia del sudario invernale
si prepara al Giorno di Pasqua.
Bellezza in luogo della cenere
profumo sulle vesti a lutto.
Ghirlande al posto delle chiome scomposte
danze sostituiscano la mesta marcia
squarcia il cuore, lascia che entri
la gioia del Giorno di Pasqua.
Cerca la casa di Dio tra la folla in festa
che sia affollata la Sua tavola
mesci preghiere, canti, lodi
inneggia la Trinità.
Che da oggi la tua anima
faccia Pasqua ogni giorno.