“La nostra è tutto, salvo che una operazione nostalgia”. Lorenzo Cesa, insieme a Gianfranco Rotondi e a tanti altri esponenti politici di primo piano, è stato uno dei protagonisti della cerimonia di riunificazione delle forze democristiane che, entro due mesi, porterà alla nascita del Partito del Popolo italiano.
Ecco come ha risposto alle domande de la Discussione.
La vostra mossa è arrivata alquanto inattesa. Quali valutazioni vi hanno spinto a tornare in campo proprio adesso?
“Penso che il livello a cui si è ridotto il dibatto politico nel Paese sia sotto gli occhi di tutti. Nell’impossibilità, per evidente incapacità progettuale, di dare risposte concrete ai problemi della nazione le coalizioni raccogliticce che si contrappongono alle elezioni, fanno a gara nel superarsi con promesse irrealizzabili ed avvelenano i pozzi con la continua diffusione di notizie false o distorte, al solo scopo di indicare un nemico contro cui focalizzare l’attenzione del proprio elettorato. E ciò soprattutto tramite l’abuso di strumenti mediatici che non consentono di verificare la veridicità di tali affermazioni.
Negli anni successivi al ‘94 abbiamo più volte tentato – talvolta riuscendoci, più spesso no – di rappresentare un elemento di moderazione e di buon senso all’interno delle contrapposte coalizioni, ma il risultato è stato tutto sommato deludente, anche quando il nostro peso elettorale non era modesto come oggi. E non perché non avessimo buone ragioni da spendere, o perché esse non ci venissero – in privato – riconosciute, ma perché in questo tipo di alleanze non c’è troppo spazio per il buon senso, per i ragionamenti complessi, per i tempi lunghi, obbligatoriamente necessari per la realizzazione di obiettivi stabili; il tutto solo per il conseguimento di un consenso tanto immediato quanto effimero: si pensi al rapidissimo passaggio dal 40% del Pd alle europee del 2014 (ora intorno al 19%), al 33% dei 5 Stelle (ora al 15-16%), al 18% della Lega (ora intorno al 30%).
E non mi addentro, per ragioni di spazio, nella totale inconsistenza delle posizioni italiane nei consessi internazionali in cui, sicuramente sino a tutti gli anni ottanta, esse avevano ben altro peso. Ecco perché sentiamo forte l’imperativo morale di rompere il circolo chiuso in cui è stato costretto il dibattito politico e, per dirla con Sturzo, con l’umiltà che richiede il richiamo al suo esempio, a tutti “gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”.
Avete qualche mea culpa da fare pubblicamente?
“Se nel resto d’Europa (e del mondo) i partiti che si propongono di tradurre in fatti laicamente concreti i precetti della Dottrina sociale della Chiesa sono quasi sempre la pietra d’angolo su cui si reggono le architetture istituzionali di quelle realtà ed in Italia no, più di qualche errore lo abbiamo commesso”.
Quale è il più grave?
“Quello di non essere stati in grado, nel 1994, di rispondere al vecchio appello di Sturzo restando uniti, concretizzando con ciò la profezia di Andreotti che, più o meno testualmente, aveva predetto che, in caso di rottura dell’unità, la Dc non si sarebbe divisa in due, ma si sarebbe dispersa in mille rivoli. Ecco, questa, credo, sia la nostra maggiore responsabilità nei confronti della nazione”.
L’Assemblea che segna la riunificazione dei partiti “democristiani” è composta da 150 delegati di 36 associazioni. Una platea piuttosto ampia: come pensate, però, di fare breccia nel cuore dell’elettorato disilluso dalla politica?
“Cercherò di essere ancora più esplicito. Se 36 partiti ed associazioni di area cattolica hanno sentito il bisogno di metterci la faccia in un momento in cui tutto ciò che è politica è guardato, nella migliore delle ipotesi, con sospetto e diffidenza, è evidente che c’è una forte domanda di concretezza e di buon senso. Non sarà semplice, certo, ma sono sicuro che, se saremo capaci di riunirci e di elaborare un programma realizzabile, prima ancora che credibile, riusciremo ad ottenere il consenso che, a nostro parere, meritiamo; ed a riportare ai seggi buona parte di quel 40% abbondante di cittadini che, non riconoscendosi nelle proposte degli attuali protagonisti della politica, si sono rifugiati nell’astensionismo”.
Il vostro nuovo soggetto politico dove si colloca nello scenario politico attuale?
“Siamo sicuramente alternativi alla sinistra ed all’inconsistenza delle non proposte pentastellate e – salvo rarissimi casi – alla evidente incapacità dei suoi eletti.
Siamo naturalmente centristi e fortemente europeisti e filo atlantici. Anche se riteniamo che la Ue debba essere un po’ meno burocratica, tornando al suo spirito fondante che era quello di affrontare le sfide del futuro mettendo insieme le risorse comuni e non quello di pensare che si possa stare insieme a condizione di “venire per primi”. E che le linee di politica estera e di difesa della Nato vengano aggiornate”.
E sul piano della politica interna?
“In un sistema semi-bipolare quale l’attuale, la nostra naturale collocazione è nel centro-destra. A condizione, tuttavia, che si tratti di un vero centro-destra, senza le evidenti, ed assolutamente non condivisibili distorsioni degli ultimi anni.
In questo senso è, ovviamente, importante il nostro rapporto con i partiti ed i movimenti che fanno riferimento al Partito Popolare Europeo”.
Cosa comporta, in concreto, la vostra matrice “popolare”?
“Un partito è popolare e non populista solo se è capace di essere realmente vicino ai problemi dei cittadini, e di farsene carico in modo concreto e non paternalistico.
Le faccio un esempio”.
Prego…
“I famosi ottanta euro di Renzi (ora aumentati a cento dai suoi iniziali detrattori) ed il c.d. reddito di cittadinanza sono due esempi di misure populiste prese sotto la spinta della necessità di fare finta di fare qualcosa di forte impatto propagandistico. Certo, al netto degli abusi, non si può negare che possano aver risolto qualche problema, ma non avevano alcuna visione progettuale (né strutturale, visto che la corresponsione del reddito di cittadinanza è limitata nel tempo), non essendo state accompagnate da provvedimenti capaci di far ripartire lo sviluppo o di alleviare in modo definitivo il disagio di tanta parte della società”.
Voi cosa proponente?
“A nostro parere, solo per fare un esempio, le ingenti risorse messe in campo per la realizzazione di tali misure si sarebbero potute impiegare per ridurre, se non azzerare, gli oneri impropri che tutti i cittadini si vedono addebitare sulle bollette del gas e della luce: in tal modo l’utilità economica ottenuta da tutti i cittadini (e non solo dai percettori degli 80 euro o del reddito di cittadinanza) sarebbe stata pari, se non superiore, a quella prodotta dalle succitate misure. Naturalmente, soprattutto per ciò che riguarda il reddito di cittadinanza, so perfettamente che il discorso è più complesso e che dovrebbe essere molto più articolato, ma si tratta solo di un esempio della differenza tra popolarismo e populismo.
L’intervento dell’ex ministro Calogero Mannino, assolto dopo un lungo e travagliato iter processuale, è il frutto di una ragionata scelta antigiustizialista?
“Assolutamente no. La Democrazia Cristiana ha sempre avuto un altissimo senso dello Stato e rispetto per la separazione dei suoi poteri.
Così come lo hanno avuto i suoi esponenti che, anche quando coinvolti in inchieste con motivazioni palesemente pretestuose, non hanno mai gridato al complotto. L’intervento introduttivo dell’onorevole Mannino è stato programmato solo perché l’Assemblea costitutiva dello scorso 18 gennaio è stata convocata per ricordare il 101° anniversario del Manifesto del Ppi (il famoso Appello ai liberi e forti) di don Sturzo e perché, a nostro parere, nessuno lo avrebbe potuto fare meglio di lui. Del resto, nel suo intervento l’onorevole Mannino non si è soffermato più di tanto sulla questione, ma ha tenuto un magistrale intervento sulla natura del popolarismo sturziano e sulla sua incredibile attualità”.
Un’idea ve la siete comunque fatta della vicenda giudiziaria?
“Certo, la lettura delle motivazioni della sentenza di assoluzione, depositata a pochi giorni dalla nostra riunione ci rallegra perché, anche se per noi non è una novità, spazza via con forza tutta una serie di leggende nere costruite ad arte per delegittimare la Dc ed i suoi esponenti almeno a partire dai primi anni Novanta e, in una con quelle sull’onorevole Andreotti, smonta pezzo per pezzo la falsa ricostruzione fatta in questi anni della politica italiana dal 1946 al 1994. E, anche se il cammino è ancora lungo e tortuoso, restituisce un pezzo di verità alla storia d’Italia. Non la dignità ai milioni di militanti e dirigenti della DC, perché non l’avevano mai persa”.
Perché gli italiani dovrebbero fidarsi del vostro progetto e, dunque, rifiutare l’idea che si tratti di una “operazione – nostalgia” in vista della introduzione di un sistema elettorale proporzionale?
“In questi anni, sempre più spesso e quasi sempre per bocca di nostri avversari vecchi e nuovi, è emersa una forte nostalgia per quello che potremmo definire lo stile democristiano; la capacità di ascoltare pazientemente le ragioni degli altri (e di farle, talvolta, nostre), la faticosa pazienza della mediazione tra interessi contrapposti nella consapevolezza che la res publica è, per l’appunto pubblica (e non di chi vince), la politica fatta di silenziose realizzazioni del possibile e non di promesse irrealizzabili urlate con tono sempre più stridente, e con un volume inversamente proporzionale alla loro realizzabilità (salvo poi scaricare su chi c’era prima la responsabilità per le promesse mancate). Forse solo questo, il richiamo a quello stile che non abbiamo mai responsabilmente smesso di praticare, anche quando sarebbe stato più semplice fare il contrario, potrebbe essere sufficiente per darci fiducia.
Ma…
“Non si tratta solo di questo. La nostra è tutto, salvo che una operazione nostalgia. Agli italiani proporremo un articolato programma di cose fattibili, con delle priorità ben definite, per tentare di tradurre in fatti concreti l’idea di società che, almeno a partire da Papa Leone XIII, la Chiesa ha elaborato. Ma in modo laico, senza inutili esibizionismi, e spiegando in modo responsabilmente chiaro che non abbiamo alcuna bacchetta magica, che la situazione è seria, non importa per colpa di chi, e che sono necessari sacrifici. Ma anche che l’Italia ha le risorse, umane ed economiche, per superare la crisi e che, se ognuno farà la sua parte, ne usciremo fuori”.
Un sistema elettorale proporzionale vi soddisferebbe di più?
“Quanto al sistema elettorale proporzionale, non a caso era una delle priorità di Sturzo, ed è sempre stato la bandiera dei democratico cristiani, anche quando sarebbe stato molto più comodo un bel sistema maggioritario.
Il sistema proporzionale, possibilmente con le preferenze o, quanto meno, con i collegi uninominali, consente ai cittadini di scegliere la proposta politica ad essi più vicina, non – quando va bene – la meno lontana e, costringe anche chi vince a confrontarsi con tutte le altre forze politiche, evita la tentazione di autoritarismi e di fughe in avanti. Il segreto della stabilità della c.d. Prima Repubblica (perché fu certamente più stabile di ciò che le è succeduta) era anche in questo…”.
Vale a dire?
“La consapevolezza che chi si assume il gravoso compito di amministrare il Paese, lo fa in nome del Popolo italiano, e cioè anche in nome e per conto di chi la pensa diversamente”.