Secondo lo studio ENEA sugli effetti della “chiusura totale” durante la pandemia Covid dall’annuncio del primo lockdown in tutta Italia (9 marzo 2020) fino ad aprile è stato registrato un calo significativo dei principali inquinanti nell’aria con picchi giornalieri del 30% in meno, e successivo incremento delle emissioni a maggio, quando le restrizioni alla mobilità e alle attività industriali sono state parzialmente rimosse. Complessivamente, nel periodo preso in considerazione (febbraio-maggio 2020), a subire il maggior calo sono state nell’ordine le emissioni di ossidi di zolfo (-15%), ossidi di azoto (-11%), composti organici volatili non metanici (-10%) e monossido di carbonio (-4%), mentre il particolato PM2.5 è sceso di appena il 2%, a causa del maggiore utilizzo del riscaldamento domestico alimentato a legna e pellet. “Questi dati confermano che le misure di contrasto all’inquinamento dell’aria, per essere più efficaci nel tempo, devono coinvolgere i trasporti e l’industria, ma anche il riscaldamento residenziale e l’agricoltura su diverse scale, dall’ambito locale e regionale fino a riguardare tutto il Paese e l’Europa intera”, spiega Antonio Piersanti, responsabile del Laboratorio ENEA di Inquinamento Atmosferico e coautore dello studio.
+Per quanto riguarda il particolato PM10, ad aprile 2020 (l’intero mese in cui erano in vigore tutte le più stringenti misure del lockdown nazionale), si è verificata una generale riduzione delle concentrazioni, con un calo maggiore registrato nella Pianura Padana (variabili tra -4 e -6 microgrammi/m3). Nelle altre aree del Paese invece, la differenza è stata molto meno pronunciata, tranne in alcune grandi aree urbane come Roma, dove il calo del particolato ha raggiunto una media di 2-4 microgrammi/m3 con picchi di riduzione delle concentrazioni superiori anche a 6 microgrammi/m3 in centro città.
Le emissioni di ossidi di azoto si sono ridotte principalmente nel trasporto su strada (-22%), a seguire il settore marittimo (-20%), della produzione di energia (-16%) e aereo (-6%), mentre gli ossidi di zolfo si sono ridotti soprattutto nelle attività industriali (-25%). La più alta riduzione delle concentrazioni di biossido di azoto (-12 microgrammi per m3) è stata rilevata nelle grandi aree urbane come Roma, Torino, Milano e Napoli, lungo i principali assi viari autostradali e nella Pianura Padana, considerata un hot-spot dell’inquinamento atmosferico in Europa. “Ma proprio in quelle stesse aree urbane si è verificato un incremento dei livelli di ozono (+12 microgrammi/m3), un gas inquinante altamente nocivo per la salute dell’uomo e per la vegetazione, che si forma a seguito dell’interazione di altri gas inquinanti con la radiazione solare, tra cui gli ossidi di azoto e i composti organici volatili; quest’ultimi rappresentano una grande famiglia di cui fa parte, ad esempio, il ben noto benzene”, sottolinea Massimo D’Isidoro, ricercatore del Laboratorio ENEA di Inquinamento Atmosferico. “Nessuna riduzione invece per le emissioni di ammoniaca, una delle principali cause (precursore in gergo tecnico) della formazione di particolato in atmosfera, perché il settore agricolo (il principale emettitore) è stato uno dei pochi a non aver subito particolari misure restrittive”, aggiunge Ilaria D’Elia, ricercatrice del Laboratorio ENEA di Inquinamento Atmosferico.
L’inquinamento atmosferico rappresenta la più grande minaccia ambientale per la salute dell’uomo insieme ai cambiamenti climatici. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima 7 milioni di morti premature ogni anno dovute all’esposizione allo smog e nel settembre del 2021 ha aggiornato le linee guida sulla qualità dell’aria che raccomandano valori limite più bassi e che rappresentano oggi il punto di partenza della nuova proposta di direttiva sulla qualità dell’aria in discussione in sede Ue.