martedì, 17 Dicembre, 2024
Cultura

“Come tutte le ragazze libere”. La ribellione al Teatro India

Uno spettacolo bellissimo, questo si può dire in prima istanza di “Come tutte le ragazze libere”, perché già nel titolo porta la testimonianza di una strategia messa in campo per mantenere l’interezza, la bellezza, che il termine “ragazza” dovrebbe provocare. Il “come” presuppone la partenza da una condizione di privazione per arrivare a quel modello di libertà che le ragazze libere rappresentano. Sette ragazzine di 13 anni in Bosnia provarono davvero a cercare la libertà da una realtà che non offriva più sogni vedendo nel loro utero la feritoia attraverso la quale inseguire la luce.

È la Stagione del Teatro India a continuare ad attingere storie ed esperienze dalla cronaca più attuale, per poter provocare piccole rivoluzioni culturali e sensibilizzare su alcuni temi sociali già dal palcoscenico, come nello spettacolo diretto da Paola Rota, Come tutte le ragazze libere, in programma dal 15 al 19 febbraio, tra monologhi e scene corali per riscrivere i concetti di famiglia e patriarcato. Scritto nel 2017 dalla drammaturga bosniaca Tanja Šljivar, il testo racconta la storia di sette tredicenni rimaste incinte durante una gita scolastica: un fatto ispirato dalla cronaca, che nasce in un paese dei Balcani per diventare una storia universale attraverso la regia di Paola Rota, che costruisce per ciascuna delle protagoniste uno spazio di racconto, un mosaico dai destini incrociati per sfidare la norma sociale e continuare a riscriverne le regole. Sette ragazze di tredici anni, sette scene e sette monologhi fanno da cornice tematica a un dramma in cui l’unica costante è l’inaffidabilità delle giovani quando si tratta di ricordi e dichiarazioni. Perché qui non stiamo parlando dell’amore, qui stiamo parlando della libertà dal non amore, che trasuda dall’incontro con i ragazzi che vogliono provare il porno, dalla città che non offre nulla, dalle famiglie che neppure domandano come siano rimaste incinte, dalle donne medico che non vogliono affrontare la questione…è chiaro che i ricordi sfumino a vantaggio dell’unica intenzione che riluce tra le loro parole: essere libere. Queste ragazze decidono di andare via insieme, guardano ai nascituri come a dei cuccioli da scambiarsi, consce che solo tra loro possono comprendersi e difendersi da una realtà che non dispensa né protezione né, tantomeno, amore.

La loro è una visione altra di famiglia, che il mondo non prospetta. Non è facile aderire al loro sguardo e pensare un futuro in cui generare un figlio perde tutto il pathos di una maternità consapevole e corrisposta dall’uomo, ma non è facile dare loro torto, quando l’ipotesi migliore è affidarsi, crescendo, alla speranza che i ragazzi allattati da una società maschilista e violenta, possano sviluppare braccia capaci di accogliere, nutrire e proteggere. Esiste poi, nello spettacolo, l’affronto sessuale a una visione che vuole le donne prede, vittime stuprate, bambole dalle gambe divaricate sotto il peso del desiderio del maschio, del suo diritto a “provare, sperimentare, usare, legare” .. sopra il cartoccio pornografico sottomesso, si alza irriverente a una cultura stantia, che ha generato solo aborti di relazione, la sperimentazione e l’utilizzo del seme, da parte di queste ragazze. Loro riescono a ribaltare la logica imperante e il maschio diventa solo mezzo per ottenere lo scopo non del legame, come tradizione vuole, ma della libertà. «Come tutte le ragazze libere è una commedia sulla necessità di andarsene via per poter realizzare pienamente la propria sessualità, per essere in grado di prendere decisioni sul proprio corpo e sulla propria vita. C’è la cultura pop americana, Skype, Instagram – come si legge dalle note di regia – Ci sono le nonne, la teoria critica e l’ambiente patriarcale di una piccola città. Attraverso i loro mezzi, le sette ragazze vogliono raccontarci tutto, tranne come sono rimaste incinte durante una gita scolastica».

Il mistero aleggia denso su quest’opera teatrale che, con la sua necessità sfida le convenzioni della società, rendendo artefici di questa piccola rivoluzione culturale un gruppo di teenager. Nato da una residenza creativa al Teatro Torlonia, e dopo aver circuitato nei Teatri in Comune, lo spettacolo chiude al Teatro India la collaborazione con Fabulamundi Playwriting Europe (Pav) (un esempio di progettualità e cooperazione artistica con cui il Teatro di Roma opera in rete insieme al sistema culturale nazionale ed europeo realizzato con il contributo del MiC – Ministero della Cultura e della Regione Lazio) su un progetto di Paola Rota, Tanja Sljivar, Simonetta Solder con l’interpretazione di Silvia Gallerano, Sandra Toffolati, Irene Petris, Simonetta Solder, Sofia Celentani, Sara Mafodda, Martina Massaro, Sylvia Milton, Lara Ceresoli, Sofia Celentani sulla traduzione di Manuela Orazi. Tanja Šljivar nasce a Banjaluka, SFR Jugoslavia nel 1988. Ha conseguito la laurea triennale e magistrale in drammaturgia presso la Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado.

I suoi testi sono stati pubblicati, letti e sui palcoscenici in Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Serbia, Albania, Spagna, Polonia, Austria, Germania. È autrice anche di racconti, di trasmissioni radiofoniche, di sceneggiature per cortometraggi e testi di teoria del teatro. Ha vinto diversi premi come drammaturga come il recente e prestigioso premio Sterija per la migliore opera teatrale contemporanea in Serbia, il premio di coproduzione del MESS per All adveturous women do in Bosnia. Le sue opere sono state tradotte in circa 10 lingue. Paola Rota lavora come attrice in teatro con vari registi tra cui Gabriele Vacis, Elio De Capitani, Ferdinando Bruni, Giampiero Solari, e in cinema con Carlo Mazzacurati, Matteo Garrone, Eugenio Cappuccio. Inizia a frequentare i set di diversi film come dialogue coach e assistente, e comincia a occuparsi di casting con Mario Martone per Noi credevamo e Il giovane favoloso.

Come Casting collabora inoltre con Roan Johnson, Dario Argento, Eugenio Cappuccio. Lavora come regista in prosa dirigendo vari spettacoli prodotti dal Teatro Stabile di Torino, dalla Biennale di Venezia, dal Teatro dell’Elfo di Milano, dedicandosi soprattutto a testi di autori contemporanei. Nel 2005 incontra Luca Ronconi alla Scuola di perfezionamento di regia di Santa Cristina di cui diventa regista collaboratrice in diversi spettacoli. Dal 2008 collabora con Mario Martone, lavora con lui in direzione al Teatro Stabile di Torino ed è suo aiuto regista per Operette Morali e Serata a Colono, Morte di Danton, e per diverse opere tra cui Falstaff al Theatre des Champs Elisees di Parigi, Cavalleria Rusticana e Pagliacci alla Scala, Curlew River al Teatro dell’Opera di Roma, Fidelio.

È regista di Due Partite di Cristina Comencini, Winston versus Churchill con Giuseppe Battiston, Lingua Madre Mameloschn di Sascha Salzmann e di Illegal Helpers di Maxi Obexer all’interno del progetto Fabulamundi Playwriting Europe.

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