Diventa sempre più aspro lo scontro tra Usa e Iran. Il 7 gennaio, l’Iran risponde alla morte del generale dell’IRGC-QF, Qassim Soleimani, lanciando oltre una dozzina di missili balistici sulle basi irachene che ospitano le truppe americane. Il giorno seguente, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato ulteriori sanzioni contro l’Iran, ma ha anche affermato che “gli Stati Uniti sono pronti ad abbracciare la pace con tutti coloro che la cercano”. Dopo aver criticato duramente il Piano d’azione congiunto globale (JCPOA) o l’accordo nucleare iraniano negoziato dall’amministrazione Obama e dagli alleati europei, Trump è convinto che l’Iran lo voglia lasciar perdere. Il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha annunciato il desiderio dell’Iran di spegnere le tensioni dopo l’attacco, proclamando che l’Iran “ha adottato e concluso misure proporzionali di autodifesa”, aggiungendo che “Non cerchiamo escalation o guerre”. Alcuni hanno ipotizzato che l’attacco fosse semplicemente un tentativo di placare la popolazione iraniana e di eliminare il conflitto con Washington.
Trump ha invitato la NATO ad essere più attiva in Medio Oriente e ha chiesto a diversi paesi, tra cui Regno Unito, Germania, Francia, Russia e Cina, il loro aiuto per impedire all’Iran di destabilizzare la regione. Il presidente ha comunque accennato alla possibilità di aperture diplomatiche per soppiantare la forza militare, ma ha anche sottolineato che gli Stati Uniti non siederanno pigramente in attesa di ulteriori provocazioni iraniane. Ormai potrebbero volerci mesi per avere progressi tangibili nella rinegoziazione dell’accordo sul nucleare iraniano, sempre se gli iraniani sono propensi a farlo. Resta l’incognita su come potrebbero reagire gli Stati Uniti qualora oggi si verificassero eventi similari a quelli dell’estate scorsa in cui Teheran ed i suoi esponenti condussero attacchi conto l’America.
Anche se le tensioni, nell’immediato, potr
Mentre l’amministrazione Trump può essere ottimista su come si sono svolti gli eventi recenti, i leader iraniani riconoscono di aver perso il loro principale stratega e l’architetto per consolidare il dominio regionale. Dalla sua morte le analisi antiterrorismo hanno discusso del significato di Soleimani e soprattutto su quanto sarà difficile per il suo sostituto, il generale Esmail Qaani, continuare a implementare la visione del suo predecessore per l’egemonia iraniana in Medio Oriente. I movimenti di protesta in Iraq e in Libano saranno una sfida significativa per l’Iran, dal momento che entrambi questi paesi respingono l’invasione dell’influenza iraniana. Le prossime settimane saranno assolutamente cruciali per il modo in cui l’Iran risponderà. Dopo la risposta convenzionale manifestata questa settimana da parte di Teheran e la successiva rappresaglia asimmetrica (attesa) dei suoi affiliati c’è il reale rischio che l’escalation di violenza abbia il sopravvento sulla diplomazia. Per avere la diplomazia qualche possibilità di successo, ciò richiederà una retorica attenuata da parte dei leader di Washington e Teheran e una strategia chiaramente articolata su come l’amministrazione Trump prevederà di sfuggire al ciclo di “Occhio per occhio”, con minacce velate e violenza crescente.