Sulla direttiva Epbd (Energy performance of building directive), il Parlamento europeo eletto da noi è ancora più “estremista” dei burocrati di Bruxelles e propone che le classi energetiche cui dovranno adeguarsi gli edifici residenziali passino dalla F proposta dalla Commissione Europea alla E nel 2030 e dalla E alla D nel 2033.
Se la proposta precedente, uscita dalla Commissione, infatti già penalizzava il nostro patrimonio abitativo, questa nuova formulazione ci mette ulteriormente in difficoltà perché, oltre a dover salire ulteriormente, vengono inclusi anche gli immobili non residenziali con scadenze più ravvicinate della precedente versione, anche in questo caso, fissate al 2027 e al 2030 e rispettivamente alla classe D ed alla classe E.
L’esecutivo Ue propone valori che vanno da A, per quelli a zero emissioni, a G, alla quale è riservata il 15% delle case con condizioni peggiori. Tutti gli altri edifici dovrebbero essere distribuiti proporzionalmente tra le altre classi. Secondo questo schema, dei 12,5 milioni di edifici residenziali stimati in Italia quelli da ristrutturare entro il 2033 sarebbero tra i 3,1 e 3,7 milioni.
In effetti, in questa logica, si vogliono seguire in maniera pedissequa e come dei pecoroni gli Stati del Nord Europa: ad esempio nelle Fiandre esistono vincoli molto stringenti e tutti gli immobili residenziali di classe E per poter essere venduti devono essere ristrutturati entro 5 anni dall’acquisto, pena il pagamento si multe salate. La nostra, però, è una situazione molto particolare, perché secondo i dati Eurostat 2020 in Italia il 75,1% delle persone vivono in case di proprietà, contro il 63,6% della Francia, il 59,3% della Danimarca e il 50,5% della Germania, con una quota molto rilevante di proprietà condominiali, che rende più difficile e complesso tutto il processo di efficientamento previsto dalla direttiva.
I tempi stretti della Direttiva dunque, oltre a portare ad un deprezzamento immediato dell’intero patrimonio abitativo, potrebbero determinare un aumento dei prezzi dovuto alla difficoltà a trovare sul mercato, nello stesso lasso di tempo, materie prime e manodopera qualificata.
L’iter legislativo si svilupperà secondo queste tappe: ci sarà il voto presso la Commissione Itre, poi si andrà in plenaria del Parlamento europeo e, successivamente, uscirà il testo definitivo che verrà negoziato (trilogo) tra Parlamento, Consiglio e Commissione. Trovata l’intesa resta l’obiettivo di intervenire in modo prioritario sul 15% degli immobili più energivori del paese, che saranno collocati nella classe energetica più bassa, la G.
Qualora fosse confermato l’obiettivo proposto, basandosi sul fatto che nel biennio 2017-2019, – dice l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili – abbiamo ristrutturato mediamente 2.900 edifici all’anno, quindi, facendo dei semplici calcoli sarebbero necessari 630 anni per raggiungere il primo step e 3.800 anni per arrivare alla decarbonizzazione completa… Campa cavallo!!!
Per questa ragione Federproprietà-ARPE, che associa decina di migliaia di piccoli proprietari di case, ha espresso sempre forti preoccupazioni circa i gravi rischi che incombono sulla casa e sul risparmio degli italiani, ove la Direttiva dovesse passare ed ha ribadito, anche in questi giorni, la sua opposizione ad un programma di efficientamento dai ritmi così serrati, che non solo sarebbe irrealizzabile nel nostro Paese senza contributi da parte dell’UE con cui sovvenzionare gli interventi a favore dei ceti medio-bassi, ma, soprattutto, comporterebbe l’inevitabile svalutazione di tutto il nostro patrimonio edilizio, creando speculazioni immobiliari di cui potrebbero beneficiare soltanto fondi speculativi e società finanziarie internazionali.
La Direttiva europea, infatti, non tiene in alcuna considerazione la profonda diversità del patrimonio edilizio italiano rispetto a quello degli altri Paesi europei, oltretutto costituito da immobili realizzati in epoche anche molto lontane nel tempo ed in contesti unici dal punto di vista territoriale, storico, artistico, culturale.
Questo patrimonio edilizio è tradizionalmente di proprietà diffusa dei privati, delle famiglie italiane, che per questo “sogno” hanno finalizzato da sempre i propri risparmi; (si calcola che siano circa 10 milioni le famiglie, che dovrebbero eseguire lavori fra il 2030 ed il 2033, con costi di migliaia di euro per ogni appartamento).
Secondo Federproprietà-ARPE, ancora prima di imporre l’efficientamento energetico, bisognerebbe affrontare il problema della messa in sicurezza di questo patrimonio che per la fragilità del territorio deve sopportare gravissimi eventi sismici e calamitosi, che frequentemente funestano il nostro Paese: realizzare “il cappotto termico” di un edificio, senza preoccuparsi di verificarne la salute strutturale e provvedervi di conseguenza, appare illogico ed incoerente.
Su questo tema già nel corso della XVI^ e della XVII^ Legislatura erano stati presentati disegni di legge su iniziativa di alcuni Senatori di diverse forze politiche, che prevedevano l’istituzione di un’assicurazione obbligatoria sui fabbricati ed un fondo per la messa in sicurezza e l’efficientamento energetico alimentato in quota parte da un premio di assicurazione, sul quale anche l’ANIA (l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) aveva espresso parere favorevole in varie occasioni.
Il nuovo governo è chiamato ad affrontare e risolvere, dunque, non solo le questioni relative all’efficientamento energetico previsto dalla direttiva europea, ma sopratutto tutti i problemi inerenti alla difesa dei proprietari di case che rappresentano l’83% della popolazione italiana.
La discussione sul testo definitivo della Direttiva inizierà a marzo, per quella data pertanto dovrà farsi sentire l’Esecutivo italiano tramite i parlamentari europei, sopratutto quelli che fanno capo allo schieramento di Centrodestra.