Tra gli osservatori, i politologi, i giuristi ed i sociologi ricorre con considerevole frequenza l’osservazione, secondo cui il sistema politico italiano è da sempre avvinto da una profonda crisi. Tale assunto, anche perché è così diffuso, non può che essere sottoscritto: una convinzione, che coagula tantissime condivisioni, non dovrebbe non avere un suo fondamento. Solo che vi è da chiedersi quali siano le motivazioni, che stanno alla base di tale crisi. Se è vero che i sistemi politici dovrebbero avere una mera rilevanza fenomenica, ne consegue che i motivi di tale crisi dovrebbero esser più profondi e non sempre facilmente rintracciabili. Tuttavia, ad un attento esame della storia politica italiana, qualche ipotesi si può avanzare, con la pretesa di non andare lontano dal vero.
L’Italia, dunque, ha una storia politica alquanto singolare, non solo in ragione del fatto che essa esiste, come nazione, grazie al processo di unificazione, che risale a circa un secolo e mezzo fa.
Ma ciò non basta, giacché nel nostro Paese ha anche sede la Santa Sede, vale a dire il governo del mondo cattolico. Infatti, il papato, in un passato non del tutto lontano ha avuto anche ambizioni di sovranità, visto che, prima della presa di Roma, avvenuta il 20 settembre del 1870, il Pontefice esercitava la sovranità sullo Stato pontificio.
Tuttavia, la presa di Roma segna anche una svolta nella vita politica del nostro Paese, poiché tale vicenda determinò una presa di posizione molto particolare da parte del papato, che, con ogni probabilità, determinò conseguenze molto negative per il Paese. Si intende alludere al famoso non expedit –<<la non convenienza implica il divieto>>-sancito definitivamente la Leone XIII nel 1886 e revocato da Benedetto XV nel 1919, dopo aver subito un’attenuazione nel 1905 grazie all’enciclica <<Il fermo proposito>> di Pio X. Orbene, il non expedit implicava che i cattolici – ossia un numero nutrito di italiani- non potessero partecipare alla vita politica italiana.
Ma la presenza del papato e, fine ad un certo punto, del governo temporale della chiesa, ha prodotto conseguenze molte più negative, se è vero che tutto ciò ha ingenerato nella popolazione italiana la credenza di essere cittadini di due stati o, meglio, di essere governati da due autorità: nasce da qui una tendenziale disaffezione del popolo italiano verso le istituzioni e l’emersione di partiti contestatori del sistema, vale a dire un fenomeno, che non ha eguali negli altri paesi dell’Europa occidentale.
In tali eventi vanno, probabilmente, ricercate le cause della endemica crisi della politica italiana, della incapacità dell’elettorato di esprimere maggioranze definite, che, poi, agevola il reiterarsi di pratiche trasformistiche, indotte anche dalla egemonia di partiti di centro. Certo le riforme istituzionali possono aiutare ad attenuare tali fenomeni, ma non si può pensare che esse siano risolutive.
Riflettere su tali vicende, con ogni probabilità, può essere di ausilio per capire le ragioni profonde della crisi politica italiana o, se si vuole, per dirla con Franco Modigliani, del <<caso Italia>>.