sabato, 16 Novembre, 2024
Lavoro

Crisi del lavoro, politiche attive invece di bonus assistenziali

Ridare forza alle professioni e all’occupazione con una riforma che assicuri salari migliori, posti stabili e maggior tempo libero

Cosa ne sarà del lavoro nei prossimi anni? Chi si sentirà ancora legato alla propria attività professionale? Sono domande che già oggi hanno una risposta complessa e dura. Parliamo di quel fenomeno crescente dal titolo: “Le grandi dimissioni”, e “fuga dal lavoro” che riguarda tutte le categorie, dai medici, ai liberi professionisti, i dipendenti di imprese, operai e lavoratori autonomi.

La fuga dal lavoro

A fare il punto di questa caduta di tensione è un’indagine di Community, promossa da Federmeccanica che prende in esame tutto il mondo produttivo, con risultati che illustrano bene i paradossi e le difficoltà che bisognerà fronteggiare. Tanto per iniziare il 45,1% delle persone ascoltate esprime l’intenzione di cambiare lavoro. Siamo a cifre che qualche anno fa erano obiettivamente inimmaginabili.

Chi lascia e chi cambia

L’indagine pone in evidenza una doppia realtà: chi è soddisfatto
e non pensa di lasciare è 54,9% mentre il 45,1% esprime l’intenzione di cambiare. Ancora più singolare che il 15,7% manifesta l’intenzione di dimettersi anche senza avere un’altra offerta di lavoro. Se poi aggiungiamo che l’Italia occupa il primo posto in Europa per incremento della produzione manifatturiera ma, alla domanda su cosa si pensa dell’Industria, buona parte dei cittadini (oltre il 18%) risponde “non so”. Siamo un Paese che con questi numeri rischia di perdere il senso del suo ruolo nel mondo e da dove arrivano sviluppo e ricchezza. L’indagine di Federmeccanica coglie anche un altro sentimento che si è affermato in anni recenti, quello del capovolgimento degli interessi verso il lavoro, non più visto come impegno, fatica, dedizione. In fondo alle gerarchie professionali vengono collocate professioni come l’operaio, il contadino, superati ampiamente da blogger e influencer.

Operai in fondo alla classifica

Tradotto in numeri, fare l’influencer e il blogger piace al 43,6% degli intervistati. Tra le professioni resiste quella di insegnante (42,8%). Ma il punto più sensibile e che da la misura della crisi e ciò che avviene
in fondo alla classifica. Nella valutazione sociale ci sono gli artigiani (34,7%), gli impiegati (32,8%), i commercianti (31,5%), i contadini (24,7%), gli operai (20,8%) e i commessi (18,4%). Sono il girone nel quale solo una minoranza vuole impegnarsi a costruire un rapporto di lavoro duraturo. Al contrario quasi tutti ambiscono ad essere dirigente e imprenditore di successo. La realtà come al solito però ci riportata a notizie diverse che sono sgradite.

La crisi della produzione

È di ieri la notizia che nei prossimi sette anni, il 70% degli operai della “Carrozzeria” dello stabilimento Stellantis di Mirafiori andrà in pensione. L’allarme è lanciato dalla Fiom che chiede subito assunzioni a tempo indeterminato per dare un futuro allo stabilimento. Ecco le cifre della diminuzione delle maestranze specializzate.
Quattro anni fa i dipendenti di Mirafiori erano 15.459, – fa presente Edi Lazzi, segretario generale della Fiom Torino -, a fine 2022 sono 11.336, il 26.7% in meno. Nei prossimi sette anni il 70% dei 3.178 addetti della Carrozzeria andrà in pensione. “Per dare un futuro alla fabbrica bisogna fare assunzioni, non di interinali ma di giovani con contratto a tempo indeterminato”, sollecita la federazione sindacale.

Stipendi e lavoro stabili

In generale quindi ci sono segnali che spiegano come a determinare la crisi del lavoro, o meglio la crisi dei valori che sostengono il lavoro, siano principalmente due: la necessità urgente di migliorare il livello delle retribuzioni, con buste paghe più alte e remunerative, capaci di dare soddisfazioni maggiori a chi si impegna nella attività professionale da dipendente o da autonomo (problema particolare sentito dalle donne che percepiscono un 30% in meno degli uomini). La seconda richiesta è quella di avere più tempo libero per sé stessi, le proprie attività e hobby. L’indagine della Federmeccanica fa emergere con la forza dei numeri questo segnale. La metà delle persone occupate ritiene o intende cambiare lavoro prossimamente, cerca in prevalenza di aumentare il reddito e avere delle sicurezze finanziarie. Nel contempo molti vogliono dimettersi per conciliare meglio il tempo di vita lavorativa con quello del tempo libero e famigliare. Inoltre nella ricerca si sottolinea come nella scelta di un’occupazione prevalgono gli aspetti considerati “immateriali”, rispetto a quelli “strumentali, ovvero fattori come la “credibilità”, il “rispetto” e l’“equità” più che quelli organizzativi.

Il valore sociale dell’equità

Il declino del valore sociale del lavoro manuale è una realtà che va affrontata con sensibilità e scelte concrete. L’indagine sull’industria e sul lavoro di Federmeccanica, progettata e realizzata da Community Research&Analysis, curata dal professor Daniele Marini (Sociologia dei Processi Economici presso l’Università di Padova), “ci restituisce una realtà in cui non esiste più una cultura del lavoro intesa in senso tradizionale, siamo in presenza di un caleidoscopio di dimensioni tali da definire un insieme di culture, al plurale”.

Salari alti non assistenza

Noi aggiungiamo che troppe riforme del lavoro sono rimaste abbozzate, in altri versi non hanno espresso in concreto quella carica di “sentimenti” che emergono dalla realtà. Un errore, ad esempio, è stato soffermarsi e sostenere con insistenza le politiche assistenziali a colpi di miliardi come nel caso della assegnazione del Reddito di cittadinanza, sul quale è importante aprire una parentesi. Nessuno sostiene che gli aiuti non vanno dati a chi ha bisogno, anzi è un dovere morale e civile, ma bisogna anche ricordare, come le notizie di cronaca sono piene di misfatti e reati. Era tra l’altro prevedibile. Il volume di intervento per il RdC è stato infatti imponente, se solo ci soffermiamo ai primi tre anni, con i dati Inps (2019-2021) il Reddito e la Pensione di Cittadinanza sono stati erogati a 2 milioni di nuclei familiari, per un totale di 4,65 milioni di persone, e per una spesa di quasi 20 miliardi di euro (per l’esattezza 19,83 miliardi), una valanga di fondi distribuiti in appena 33 mesi. Al contrario per politiche attive del lavoro e la formazione, si è fatto poco. Anzi peggio perché assistiamo ad una grave incredibile lacuna. Per le politiche attive per l’occupazione, dove su quasi 8 miliardi di fondi Ue a disposizione ne abbiamo spesi e certificare a fine 2022 appena il 13,2%, pari a poco più di un miliardo (ne restano sette) ancora da spendere. Segnaliamo inoltre che una buona parte delle risorse della programmazione 2014-20 non sono ancora state spese. Se non lo faremo entro il 2023 potrebbero essere disimpegnate e perse. Questa la situazione che va affrontata. Il Governo può intervenire con una profonda azione di rilancio dell’occupazione migliorando sensibilmente sia le condizioni salariali dei lavoratori sia di crescita del Paese. L’importante non perdere altro tempo prima del baratro.

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