Un volume d’affari annuo stimato sui 40 miliardi di euro. Una somma pari a oltre il 2 per cento del Prodotto interno lordo del Paese. È il denaro gestito dalle organizzazioni riconducibili alla “Mafia spa”. Economia
criminale che, a titolo puramente statistico, presenta in Italia un “giro d’affari” inferiore solo al fatturato di Gse (Gestore dei Servizi Energetici), di Eni e di Enel. “Dati, quelli relativi alle attività economiche criminali”, puntualizza la Cgia, società di analisi socio economiche, “che sono certamente sottostimati, in quanto non siamo in grado di dimensionare anche i proventi ascrivibili all’infiltrazione di queste organizzazioni malavitose nell’economia legale”.
No all’economia illegale dentro il Pil
Oltre ai rilievi finanziari, l’Ufficio studi della Cgia si spinge, nel sottolineare come l’economia malavitosa trovi spazi all’interno di quella legale.
“Se a parole tutti siamo contro le mafie, nelle azioni concrete non sempre è così”, osserva l’Ufficio studi della società di Mestre, “Infatti, è quanto meno ‘imbarazzante’ che dal 2014, l’Unione Europea, con apposito provvedimento legislativo consenta a tutti i paesi membri di conteggiare nel Pil alcune attività economiche illegali: come la prostituzione, il traffico di stupefacenti e il contrabbando di sigarette”. “Grazie a questa opportunità, nel 2020 – ultimo dato disponibile -, abbiamo ‘gonfiato’ la nostra ricchezza nazionale”, calcola la Cgia, “di 17,4 miliardi di euro, quasi un punto di Pil”.
Eticamente inaccettabile
Un pericoloso travaso di economie che per gli analisti della Cgia, rende la “decisione eticamente inaccettabile”. Per l’Ufficio studi dell’Associazione piccole e medie imprese di Mestre, infatti, “da un lato lo Stato combatte e contrasta le mafie, dall’altro riconosce a queste organizzazioni criminali un ruolo attivo di ‘portatori di benessere economico’. In buona sostanza”, commenta la Cgia, “è come se sul piano statistico ammettessimo che anche una parte dell’economia illegale riconducibile a Mafia Spa è ‘buona e accettabile’; insomma, una componente ‘positiva’ della nostra ricchezza nazionale”.
Spesa pubblica e corruzione
L’analisi della Cgia prende in considerazione la dimensione territoriale degli interessi economici illegali. Una mappa che si dispiega a macchia di leopardo. “Come dimostrano gli studi citati precedentemente, a livello territoriale la presenza più diffusa delle organizzazioni economiche criminali si registra nel Mezzogiorno”, commenta ancora l’Ufficio studi, “anche se ormai molte evidenze altrettanto inquietanti segnalano la presenza di queste realtà illegali nelle aree economicamente più avanzate del Centro-Nord. La letteratura
specializzata”, ricorda la Cgia, “evidenzia che, storicamente, i territori dove l’economia locale è fortemente condizionata dalla spesa pubblica e il livello di corruzione della pubblica amministrazione è molto elevato sono più vulnerabili dal potere corruttivo delle mafie”.
I reati “spia” dell’illegalità
Induttivamente è possibile riconoscere un’area geografica più a rischio di un’altra, fa presente la società di analisi socio economiche, “anche dal riscontro di una elevata presenza di reati spia”. “Nei territori dove il numero di denunce all’autorità giudiziaria per estorsione/racket, usura, contraffazione, lavoro nero, gestione illecita del ciclo dei rifiuti, scommesse clandestine, gioco d’azzardo, etc. è molto alta”, calcola la Cgia, “la probabilità che vi sia una presenza radicata e diffusa di una o più organizzazioni criminali di stampo mafioso è molto elevata”.
Le aree più a rischio
L’Ufficio studi ripercorre le indicazioni di Bankitalia nell’individuazione delle aree più esposte. “Buona parte del Sud, Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna sono le aree più a rischio. Secondo la Banca d’Italia la penetrazione territoriale della Mafia Spa”, puntualizza la Cgia, “non riguarda solo il Sud; purtroppo presentano un indice di presenza mafiosa molto preoccupante anche realtà del Centro-Nord, in particolar modo le province di Roma, Latina, Genova, Imperia e Ravenna”.
Le zone critiche
L’elenco delle province più esposte è lungo. L’Ufficio studi fa presente che si tratta di aree “meno colpite delle precedenti”, ma comunque, “con forti criticità si segnalano, sempre nella ripartizione centrosettentrionale, anche le provincie di Torino, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Varese, Milano, Lodi, Brescia, Savona, La Spezia,
Bologna, Ferrara, Rimini, Pistoia, Prato, Firenze, Livorno, Arezzo, Viterbo, Ancona e Macerata”.
Le zone meno esposte
Meno investite da questo triste fenomeno sarebbero, invece, secondo i dati della Banca d’Italia elaborati dalla Cgia, “le province del Triveneto – con leggeri segnali in controtendenza a Venezia, Padova, Trento e, in particolar modo, Trieste -. Anche la Valle d’Aosta e l’Umbria presentano un livello di rischio molto basso. Nel Mezzogiorno, secondo i ricercatori di via Nazionale gli unici territori completamente “immuni” dalla presenza del fenomeno mafioso “sarebbero le province di Matera, Chieti, Campobasso e le realtà sarde di Olbia-Tempio, Sassari e Oristano”.
Dagli illeciti al sommerso
Lo spaccato di economia illegale si somma con quella economia sommersa che, secondo i calcoli, ha un giro d’affari di 157 miliardi.
“Oltre all’economia illecita nel Pil c’è anche il sommerso”, sottolinea la Cgia, “ai 17,4 miliardi di euro “prodotti” dalle attività illegali (attraverso il traffico di droga, contrabbando di sigarette e prostituzione), il nostro Pil nazionale “assorbe” altri 157 miliardi di euro: di cui 79,7 sono “nascosti” dalla sottodichiarazione, 62,4 miliardi dal lavoro irregolare e 15,2 miliardi dalla voce Altro (ovvero, mance, affitti in nero, etc.)”.
L’economia non “osservata”
La società mestrina ricorda come i 174,4 miliardi di euro complessivi (17,4 più 157), compongono la cosiddetta “economia non osservata che è interamente conteggiata nel nostro Pil nazionale”. “Ancorché non sia possibile quantificarne la dimensione, è evidente”, conclude l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre, “che anche una parte importante di questo stock (157 miliardi) sia riconducibile alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, a dimostrazione che i 40 miliardi di volume d’affari richiamati all’inizio di questo documento addebitati a Mafia Spa sono, purtroppo, sottostimati”.