Dopo l’espulsione, tra le polemiche, del senatore Gianluigi Paragone (“cacciato” dei probiviri per aver votato contro la Legge di Bilancio) i deputati Nunzio Angiola e Gianluca Rospi hanno lasciato il gruppo per passare al Misto.
Dei 227 seggi “conquistati” alle elezioni del 4 marzo 2018 ne sono rimasti 214.
Al Senato la quota 112 si è assottigliata di 11 unità. E l’emorragia è destinata a continuare.
Alla luce di quanto sta avvenendo appare legittimo domandarsi che cosa stia succedendo all’interno del Movimento Cinque Stelle.
Un dato emerge su tutti: quella che sembrava una “invincibile armata” alla stregua della flotta approntata dal re di Spagna Filippo II nel 1587 per contrastare la crescente potenza marittimo-commerciale dell’Inghilterra, sta perdendo progressivamente pezzi e mordente.
Lo dimostra anche la querelle a distanza tra il “big” Alessandro Di Battista – che ha difeso le scelte di Paragone, sostenendo che “è più grillino di molti altri” – e il “capo politico” Luigi Di Maio che, invece, ne ha fortemente voluto la estromissione.
A noi, però, non sembra che il vero nodo da sciogliere sia quello relativo alla leadership, sebbene l’attuale titolare della Farnesina sia un po’ meno carismatico del suo antagonista fuori dal Parlamento.
In realtà il Movimento ha progressivamente perso terreno da quando è approdato nella fatidica “stanza dei bottoni”, dovendo, per forza di cose, assumere la responsabilità delle proprie scelte.
Per Salvini, politico di lunga esperienza e per di più capace di parlare alla pancia del Paese, non è stato difficile conquistare le luci della ribalta a discapito degli alleati, sempre più ripiegati su loro stessi.
La rottura e la nascita del nuovo governo non ha interrotto questa spirale perversa.
E così, pian piano, le crepe si sono allargate fino a mettere in pericolo la stabilità dell’edificio.
Il destino dei Cinque stelle a guida Di Maio è quanto mai incerto. Sarebbe necessaria una svolta, a patto che il movimento ritrovi lo slancio iniziale.
Il problema è che manca una visione prospettica. Per governare un Paese complesso come l’Italia non basta gridare “Onestà, onestà” o farsi fotografare all’esterno dei Palazzi con un mega assegno da sventolare al cospetto dei fotografi.
Chi lo fa, dimostra di non avere ben compreso il ruolo della politica in una democrazia rappresentativa come la nostra, dove le spese di funzionamento del sistema non sono costi ma investimenti per avere una classe dirigente all’altezza del compito al quale è chiamata…