Chi, nel mondo islamico, insorse contro le parole pronunciate da Benedetto XVI all’università di Ratisbona, arrivando addirittura ad uccidere una suora cattolica, o non lesse tali parole e si basò sui resoconti manipolatori di taluni organi di stampa arabi ma anche americani, europei e italiani, o le aveva lette e non le ha capite, o era in malafede e cercò pretesti per alimentare la propaganda anticristiana e antioccidentale, in poche parole la guerra di civiltà.
Papa Ratzinger disse che la fede è profondamente ragionevole e che essa deve essere proposta e non può essere imposta. Disse cioè che calpestare la ragione, il diritto naturale, significava calpestare anche la Verità e che l’adesione alla Verità non può che essere libera. Il Papa, insomma, non offese in alcun modo l’Islam: il suo, anzi, fu un forte invito a riscoprire ciò che unisce i cristiani e i musulmani; una convinta esortazione al dialogo e al confronto franco e aperto tra cristianesimo e Islam, tra religioni e culture diverse. Poi, il Papa andò oltre, affermando che la minaccia alla nostra religione, alla nostra identità cristiana, alle nostre radici, alla nostra tradizione, alla nostra cultura, ai nostri principi e ai nostri valori, alla nostra civiltà, non è nelle altre religioni. Ma nel relativismo etico, nel nichilismo libertario, nel laicismo e nella secolarizzazione che, come un virus, hanno infettato il nostro modo di pensare e di vivere, la nostra società, la società italiana, europea e occidentale.
Il Papa, in Germania, invitava a capire che le nostre radici religiose e culturali non si difendono negando quelle degli altri; esortava a comprendere che non bisogna aver paura delle altrui identità, ma riscoprire e riaffermare la nostra, tornare ad essere cristiani, incarnare i principi e i valori in cui diciamo di credere.
Come non riconoscerci anche oggi in quelle parole di Benedetto XVI? Siamo infatti convinti che riscoprire, difendere e riaffermare la nostra identità culturale, i nostri principi, i nostri valori, la nostra tradizione, non vuol dire chiudersi al dialogo con altre culture, altre religioni e altre civiltà. Significa anzi aprirsi a tale confronto, renderlo possibile, autentico e fecondo, cioè foriero di un’integrazione correttamente intesa e praticata. In altri termini, quanto più riusciremo a recuperare la nostra identità religiosa e culturale, i nostri principi e valori, tanto più potremo instaurare un dialogo vero e costruttivo con altre religioni, altre culture e altre civiltà. Era quello che andava ripetendo Ratzinger.
Ecco perché siamo impegnati, oggi più che mai, a far sì che l’identità cristiana del nostro Paese sia preservata; che non si smarrisca, non si disperda nel magma indistinto della società multi-religiosa e multi-culturale (cosa diversa dalla società inter-religiosa e inter-culturale). Ecco perché siamo intenzionati a riscoprire e riaffermare ciò che abbiamo ricevuto dai nostri padri: il privilegio di essere cristiani. Del resto, mantenere viva l’eredità lasciataci dai nostri antenati, il patrimonio valoriale tramandatoci dai nostri avi, è non solo un diritto, ma anche un dovere.
Nei confronti dei nostri figli, delle generazioni che verranno e della stessa comunità internazionale. Non dimentichiamo, poi, che oggi gli orizzonti si sono allargati e la stessa esperienza politica dell’Europa unita, se vuole consolidare il processo unitario, dovrà riconoscere che l’architrave dell’incontro tra culture e civiltà diverse può essere realizzato proprio grazie al valore aggiunto della cristianità, che tutto ricomprende nella logica di un umanesimo che ha posto al centro della storia il primato della persona, come ci hanno insegnato gli ultimi nostri pontefici.