sabato, 16 Novembre, 2024
Attualità

Il Pos e la moral suasion sulle banche

È tramontata per il “no” Ue la franchigia dei 60 euro per il “pos paper”, per cui il Mef ha studiato un meccanismo di compensazione con l’istituzione di un fondo a carico delle banche, riservato a commercianti e professionisti con fatturato fino a 400mila euro, per compensare i costi delle transizioni fino a 30 euro. Sarebbe un contributo di solidarietà chiesto alle banche chiamate a versare il 50% delle commissioni superiori a un livello “congruo” da definire con DPCM.

Come si ricorderà chi scrive aveva proposto al governo di tentare di convincere le banche, con un’efficace “moral suasion”, a rinunciare alle commissioni e alle spese di gestione dei Pos per i piccoli esercenti del terziario, che ogni anno pagano – fonte Confesercenti – una tassa occulta di 752 milioni di euro per le transazioni di piccolo taglio , mentre le banche italiane nell’ultimo anno hanno toccato punte record di redditività senza abbassare i costi per i clienti e usufruendo anche del rialzo dei tassi di interesse su prestiti e mutui a cittadini e imprese.

Il governo Meloni, – scrivevo – mentre rivendica la sua legittima e giusta linea politica sui limiti al Pos e l’innalzamento della soglia dei contanti a 5.000 euro, muovendo osservazioni sul ruolo di Bankitakia, potrebbe e dovrebbe nello stesso tempo esercitare una forte ‘moral suasion” ( ma dovrebbe farlo autonomamente anche la nostra Banca Centrale) sugli istituti di credito affinché intervengano su spese e commissioni, con le quali hanno fatto grandi utili negli ultimi anni (cfr le stesse rilevazioni di Bankitalia), eliminando di propria iniziativa i costi almeno per le piccole transazioni che spesso annullano i guadagni per i commercianti, come su bolli, tabacchi, frutta, benzina, giornali, prodotti da bar, ecc. ecc. Se le banche non volessero rispondere alle sollecitazioni, raccogliendo questa istanza tutta di carattere etico, non ci sarebbe altra strada che intervenire fiscalmente sulle banche con criteri di equità e di giustizia.

In altri Paesi alcuni governi hanno deciso di tassare gli extraprofitti non solo dei grandi gruppo energetici, ma proprio delle banche, per finanziare i sostegni alle famiglie ed alle imprese. E l’esempio più illuminante arriva dalla Spagna, dove dal luglio scorso è stata proposta una tassa non sugli utili delle banche, ma addirittura sui ricavi derivanti proprio da commissioni e spese imposte ai cittadini, peraltro solo agli istituti di credito con un fatturato superiore agli 800 milioni di euro per non penalizzare le piccole banche. La strada da seguire sarebbe potuto essere proprio questa: convincere le banche ad eliminare le commissioni sulle piccole operazioni commerciali.

Nel 2022 i sei colossi del sistema creditizio italiano quotati in Borsa non hanno subito alcun rallentamento in termini di ricavi e di utili dalla crisi economica generale, anzi, al settembre scorso si parlava di diverse centinaia di milioni netti di euro tra i colossi come Unicredit, San Paolo, Bpm, Bper e le maggiori banche in rete: dal 2007 al 2021 per le banche italiane i ricavi addizionali arrivati dalle commissioni sono saliti di un miliardo di euro tanto da portare l’indice commissionale al 47% dei ricavi totali contro il 36% di 15 anni prima (fonte Excellent Consulting).

Se a questo si aggiungono le tante operazioni di buyback che le banche hanno realizzato nell’ultimo anno e la distribuzione massiccia di dividendi agli azionisti (Unicredit 1,5 miliardi di euro, Intesa San Paolo 1,6 rispetto agli 885 milioni del 2021), il quadro che ne deriva è quello di un Paese a due velocità, nel quale i piccoli commercianti vengono prosciugati anche negli incassi modesti mentre le grandi realtà creditizie macinano utili sempre maggiori. Ed è su questa linea grigia e delicatissima che il governo Meloni dovrebbe operare con scelte politiche in grado di tenere insieme i due settori, consumi e credito.

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