Nel 2006, quando gli investitori stranieri si recavano ancora in Russia e si preoccupavano della loro reputazione internazionale, l’ex Segretario di Stato americano Madeleine Albright parlò a una conferenza sugli investimenti a Mosca. Quando finì il suo discorso, una giovane siberiana che parlava un inglese impeccabile le chiese perché gli Stati Uniti continuassero ad accusare la Russia di violazioni dei diritti umani quando le cose andavano molto peggio in Cina. “Perché ci aspettavamo di più da voi”, rispose Albright.
Era ingenuo credere che la Russia, avendo abbandonato il comunismo, avrebbe seguito un percorso democratico? Quando la Guerra Fredda finì, l’Occidente accettò Mikhail Gorbaciov e Boris Eltsin come democratici. Sotto di loro iniziò il processo di democratizzazione: il Cremlino abbandonò il monopolio della politica e rimosse le restrizioni alla capacità dei russi di riunirsi, esprimere le proprie opinioni e viaggiare all’estero. Ma la democrazia non ha messo radici in Russia, e quando Albright ha parlato a Mosca, Vladimir Putin stava già diligentemente distruggendo le deboli istituzioni democratiche che ancora esistevano. Al loro posto, Putin aveva montato una facciata che mostrava tutti i rituali e le istituzioni della democrazia, ma che altro non era che un guscio vuoto. Dopo che Putin ha esteso il proprio governo per altri due mandati di sei anni, avvelenando e imprigionando il suo oppositore più coerente, Alexei Navalny, la Russia è diventata una dittatura a tutti gli effetti. Quando oramai era all’apice del suo potere, Putin ha lanciato un’invasione su vasta scala dell’Ucraina e ha minacciato l’Occidente di una guerra nucleare se fosse intervenuto.
Sia in Russia che in alcuni salotti dell’Occidente, la “spiegazione” per giustificare l’invasione è che gli Stati Uniti e i loro alleati sono da biasimare per l’espansione della NATO verso est, costringendo Putin a compiere il passo finale in Ucraina. Questa spiegazione ignora due elementi fondamentali: gli ucraini non avevano manifestato alcuna intenzione di candidarsi a membro della NATO e, al contempo, avendo la Russia occupato la Crimea, Putin aveva già – di fatto – creato un ostacolo insormontabile per l’adesione dell’Ucraina alla NATO, in quanto l’Alleanza Atlantica non avrebbe mai voluto ereditare un simile conflitto territoriale.
Anche adesso, quando le relazioni Est-Ovest sono al punto più basso dalla Guerra Fredda, gli Stati Uniti e i loro alleati non rappresentano una minaccia militare per la Russia, nonostante Putin nel briefing di mercoledì al Ministero della Difesa russo abbia detto il contrario.
Non è stata l’espansione dell’Alleanza a provocare l’attacco di Putin all’Ucraina, ma il fallimento della Russia nel diventare una democrazia.
Una Russia democratica non si opporrebbe all’approccio dell’Alleanza dei Paesi democratici ai suoi confini. E poi la Russia non farebbe la guerra contro un’altra democrazia e non minaccerebbe le democrazie d’Europa. Il fallimento della Russia nel diventare una democrazia è alla radice del suo conflitto con l’Occidente e sarà il fardello più pesante per la Russia nell’era post-Putin. L’ovvietà di questo problema solleva una domanda seria: la Russia, fintanto che è gestita come un impero, può mai diventare una democrazia?
Nel 1991 lo stato sovietico era già in agonia, ma la gente era piena di entusiasmo. Per la maggior parte dei russi, stanchi della scarsità e della povertà, l’attrazione dell’Occidente risiedeva principalmente nella brillantezza dei beni di consumo. Ma molti russi avevano compreso anche il valore intangibile dei diritti e delle libertà politiche, soprattutto dopo sette decenni di tirannia a partito unico. Quando l’Unione Sovietica è crollata, la Russia ha iniziato la sua nuova esistenza come democrazia multipartitica, poi però il partito al potere – Russia Unita – ha assunto il ruolo un tempo svolto dal PCUS. Putin ha promesso ai russi restaurazione, stabilità e persino prosperità. Trent’anni dopo, Putin ha trasformato il paese in una dittatura revanscista.
Non sorprende che l’annessione della Crimea abbia ricevuto un ampio sostegno tra i russi. In un mondo senza ideologia, la nostalgia imperiale esercita ancora un’attrazione potente.
Il successo dell’Ucraina come democrazia rappresenta un pericolo per il regime di Putin a causa dell’esempio che dà ai russi. L’indipendenza e la democrazia ucraine equivalgono a una ribellione contro l’impero che Putin crede di dover resuscitare e guidare.
Anche il regno di Putin, per quanto eterno possa sembrare, finirà. Finora non c’è motivo di credere che il suo successore sarà più liberale o democratico. Ed è molto difficile immaginare che il futuro governo russo restituisca volontariamente i territori annessi all’Ucraina.
Il problema è anche che i russi devono fare i conti con i misfatti del loro Paese, proprio come fecero i tedeschi dopo la seconda guerra mondiale. Anche nella democratica Germania occidentale, ci sono voluti quarant’anni perché il pubblico accettasse la capitolazione della Germania nazista non come una sconfitta, ma come una liberazione. Un’onesta ammissione degli errori è necessaria per superare l’eredità imperialista, riconciliarsi con gli ex nemici e costruire una democrazia di successo. Finora, Putin ha affermato che l’ultimo impero russo non ha nulla di cui scusarsi e che il crollo inglorioso di un impero è una sconfitta che richiede vendetta.
Solo una Russia che riconosce i crimini dell’impero può sperare di iniziare la riconciliazione con i suoi vicini e conquistare la loro fiducia. E, cosa più importante, la democrazia presuppone che i russi si percepiscano come cittadini del loro paese e non sudditi del loro sovrano.
Le sfide che la Russia del dopo Putin dovrà affrontare sembrano ancora più complesse di quelle che il paese ha dovuto affrontare dopo il crollo del comunismo.
La Russia ha avuto due tentativi di entrare in democrazia: dopo la rivoluzione di febbraio del 1917 e nel 1991, quando l’Unione Sovietica è crollata. E oggi i russi devono decidere da soli se il loro prossimo tentativo di democrazia avrà più successo.