lunedì, 16 Settembre, 2024
Cultura

Massimo Popolizio infiamma il Teatro Argentina col Furore di Steinbeck

Dal capolavoro di John Steinbeck arriva il grido eterno dei uomini di terra.

Cosa fa della letteratura una grande letteratura è una domanda sempre aperta, la cui risposta si trova dentro le piaghe delle ferite dell’umanità. La stessa legge segue il teatro, di cui questo spettacolo di grande teatro è prova esemplare: applausi a scena aperta per Furore di e con Massimo Popolizio. Esiste nell’umanità umiliata, affamata, ridotta a cenere attraverso lo sgretolamento delle sue certezze, l’erosione fin dentro l’identità e allo stesso tempo una radice che pertiene alla vita e che ci riguarda tutti, la forza della disperazione. Migliaia di persone costrette a lasciare la loro terra, a vendere, implorando la logica della dignità contro la logica di mercato, i propri aratri e la fatica delle proprie braccia, superate dalla potenza meccanica del trattore, sono una testimonianza dolente di una società che trita ogni cosa e della disperazione che si fa umano motore.

Parliamo delle centinaia di migliaia di contadini, che lasciarono il Midwest per tentare una nuova vita in California, dopo che le “dust Bowl”, le tempeste di polvere, avevano disperso l’humus coltivabile delle loro terre, non prima di aver subito l’esproprio delle loro fattorie dalle banche. “…250.000 persone riversate come cimici lungo la Statale 66, 50.000 vecchi catorci abbandonati lungo la strada; hanno continuato a piedi. Da dove arriva questo coraggio? Come si può avere un coraggio simile?…”

Vibra la voce di Massimo Popolizio dal palco del Teatro Argentina, con questo spettacolo epico e attualissimo, presente quanto la stessa natura umana. Ma la parola di Popolizio non è solo voce, la sua mimica non è solo corpo, per quanto con incredibile maestria questo attore e regista sappia portare se stesso al centro del palcoscenico, parola e corpo diventano corpo e sangue e terra riarsa e si moltiplicano in migliaia di bocche, conducendo lo spettatore dentro le viscere affamate, gli occhi stretti di quella migrazione che sembra deragliare dalla Router 66 e dalle regole di sua maestà il Tempo, per ammassassi sul palco. Popolizio diventa un corpo multiplo, abitato da quel Furore che ha scelto di portare in scena, con l’adattamento di Emanuele Trevi, vincitore del Premio Strega nel 2021, che commenta: ”È una straordinaria figura di narratore. Forse non c’è attore, nel panorama teatrale italiano, più in grado di Massimo Popolizio di prestare a questo potentissimo, indimenticabile “story-teller” un corpo e una voce adeguati alla grandezza letteraria del modello.

Leggendo Furore impariamo ben presto a conoscerlo, questo personaggio senza nome che muove i fili della storia. Nulla gli è estraneo: conosce il cuore umano e la disperazione dei derelitti come fosse uno di loro, ma a differenza di loro conosce anche le cause del loro destino, le dinamiche ineluttabili dell’ingiustizia sociale, le relazioni che legano le storie dei singoli al paesaggio naturale, agli sconvolgimenti tecnologici, alle incertezze del clima. Più che a una “riduzione” riteniamo che un progetto drammaturgico su Furore debba tendere a esaltare le infinite risorse poetiche del metodo narrativo di Steinbeck, rendendole ancora più evidenti ed efficaci che durante la lettura Massimo Popolizio darà vita a un one man show epico e il lirico, realistico e visionario, sempre sorprendente per la sua dolorosa, urgente attualità. Il controcanto è affidato al caleidoscopio di suoni realizzati dal vivo dal percussionista Giovanni Lo Cascio”. Ed è proprio a Lo Cascio che si deve un altro capolavoro sonoro, attraverso l’esecuzione di ballate che raccordano quaranta strumenti, suonati dallo stesso in continuo dialogo con la tensione scenica tessuta da Popolizio. “…i figli dei poveri crescevano rachitici e le grosse imprese non capivano che il confine tra fame e rabbia è un confine sottile. Nelle grandi arterie gli uomini sciamavano come formiche in cerca di cibo. La rabbia cominciò a fermentare. È impossibile fermare un uomo quando quello che lo tormenta non è la fame della sua pancia, ma la fame della pancia dei suoi figli…”

John Steinbeck nel 1936, sotto spinta del San Francisco News, condusse un’inchiesta giornalistica sulle condizioni dei proletari rurali immigrati in California e colpiti dalla crisi economica, che determinò la loro sconfitta nella battaglia impari contro il progresso tecnico e le grandi fauci delle banche. È da questa inchiesta che lieviterà, tre anni dopo, il romanzo “Furore” che valse il premio Pulitzer a John Steinbeck, ma non finì qui, perché nel 1962 l’autore venne insignito del Nobel per la Letteratura, per “la sua scrittura realistica e immaginativa”, capace di narrare eventi e penetrare il mondo oscuro dei sentimenti che vi si annodano insieme. “…la fame di gioia, di sicurezza moltiplicati per un milione…ecco cosa puoi dire dell’uomo quando le filosofie, le teorie, i vicoli bui del pensiero nazionale, religioso ed economico crescono e si disintegrano: l’uomo non si ferma, procede brancolando. Terribile il tempo in cui l’uomo non voglia soffrire e morire per un’idea, perché quest’unica qualità è il fondamento dell’uomo…” queste parole necessarie, dalla gola, dal sentimento maestoso di Massimo Popolizio, hanno fatto saltare ogni poltrona, costretto a guardare quanto oggi c’è ancora da fare.

Foto di Federico Massimiliano Mozzano

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