mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Esteri

Nato, alleanza necessaria: l’Italia fanalino di coda

L’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) fu istituita nell’aprile del 1949 con l’obiettivo di scoraggiare l’espansionismo sovietico e di avvicinare le nazioni europee agli Stati Uniti per un’idea di difesa collettiva che avrebbe impedito un’altra guerra mondiale. Inizialmente solo 12 nazioni aderirono. Da allora, in settant’anni, tutti i Paesi membri hanno fornito la propria esperienza in materia di addestramento e impiego di risorse. Oggi, l’alleanza e i suoi 29 membri hanno intrapreso una nuova missione ed è pronta per le sfide future, secondo quanto dichiarato dal segretario generale della NATO Jens Stoltenberg.

Nei giorni scorsi l’attenzione mediatica si è concentrata sulle relazioni bilaterali tra leader mondiali e la spirale di violenza e di morte non ha fatto registrare nessuna flessione. Molti sono stati gli interventi della NATO Special Operations Forces (SOF) che si è rafforzata nel corso degli anni, come le unità operative speciali nei singoli Paesi membri, evolvendosi proporzionalmente alle minacce e tecniche avversarie. Il SOF NATO oggi è la forma d’intervento diretta di maggiore sviluppo e potenzialità.

A seguito di quanto emerso nell’incontro NATO della settimana scorsa a Londra, è sicuramente necessario considerare la cooperazione ed una costante interrelazione dei soggetti sul campo, quali fattori determinanti per il successo delle operazioni speciali della NATO che diventano una priorità nella lotta al terrorismo. In questo settore gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo fondamentale. Oggi, a circa 20 anni di distanza da quell’11 settembre, questo appare chiaramente. Il riconoscimento del nemico comune, il terrorismo appunto, ha avuto un forte potere di collante tanto a livello strategico quanto culturale. Capacità tecnico-pratiche, procedure, prospettive e conoscenze degli spazi, dipendono sempre più dai processi di integrazione. Qui subentra un ulteriore fattore determinante quale la condivisione delle informazioni derivanti dall’intelligence. In una lotta generazionale quale quella attuale, essere in grado di rintracciare le persone in tutto il mondo indefinitamente, condividendo e conseguentemente aumentando le reciproche capacità conoscitive, è un enorme vantaggio, anche per quello che riguarda la sicurezza dei singoli paesi.

La cooperazione tra Paesi alleati presenta però ancora ampi margini di miglioramenti in diversi settori. Le disposizioni sul campo di battaglia, oggi diversificate tra Nazioni, ne sono un chiaro esempio. Ciò ha un impatto diretto sulla missione, tanto che i partners NATO e i paesi Five Eyes (USA, Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda e Australia) si trovano spesso a dover calibrare il posizionamento delle proprie forze disponibili. Va considerato che più ci si avvicina alla possibilità di operare con metodi similari, più si è efficaci contro il terrorismo. Le differenze territoriali e geografiche giocano comunque una partita importante. Pensiamo ai diversi campi di azione di europei e americani. I paesi in Europa sono tutti vicini e le persone si spostano nel continente e in Medio Oriente con molta più facilità rispetto la maggior parte degli americani. Quindi, per gli americani la prospettiva è diversa perché, mentre sono geograficamente fortunati come nazione, risultano essere limitati geograficamente per quello che concerne le diverse parti del mondo. Considerando che “ci si allena per ciò che sai che accadrà, ma si educa per ciò che non sai che accadrà”, il ruolo dell’istruzione diventa primario con sempre maggior complessità e complementarietà, sapendo che i conflitti nella zona grigia continueranno. Col progredirsi della tecnologia le minacce informatiche e le crescenti tensioni con la Cina e la Russia stanno diventando sempre più accentuate. Anche per questa ragione la SOF rappresenta una risorsa imprescindibile. Se da una parte infatti non preoccupano i molteplici impegni dell’Alleanza (anche grazie agli SFAB – Security Force Assistance Brigades creati dal generale Mark Milley), dall’ altra  vanno sollecitati i leader mondiali sulla sensibilizzazione e considerazione della SOF.

Un’Alleanza come la NATO non può e non deve essere considerata solo e soltanto dal punto di vista economico in virtù della spesa pubblica dei Paesi membri.

La questione dell’Alleanza, infatti, non è per l’appunto economicamente quantitativa, ma qualitativa. La spesa militare è, come ogni spesa e forse più di altre, necessaria,ma è proprio l’impiego di questo danaro che potrebbe farci dormire tranquilli la notte. La politica estera italiana ed europea degli ultimi decenni,  specialmente oggi, non ha brillato particolarmente. La superficialità, accompagnata da qualche dose di incompetenza, che ha “regnato” al nostro Ministero degli Esteri ha fatto sì che il nostro Paese, da sempre  punto di riferimento geografico e strategico, fosse relegato ai margini della geopolitica mondiale, perdendo la stima ed il rispetto dei maggiori Paesi decision maker in ambito europeo e NATO. L’Italia deve recuperare la propria forza e dignità, ma per questo occorre smettere di inviare uomini più o meno “simpatici” in posizioni strategico-politiche. Cerchiamo di guardare un po’ di più alle loro competenze specifiche oltre che ai loro titoli di studio.

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