“N’ascella si, n’ascella no”. Raccontava Carlo Verdone a proposito del film Viaggi di Nozze che l’essenza di Jessica e Ivano era quella di consumare tutto e troppo in fretta. Così in fretta da doversi spingere sempre oltre: “O famo strano?”
Una feroce critica non solo del personaggio del coatto, ma anche del consumo usa e getta e più in generale di quella cultura pop che spinge finché ce n’è, alla ricerca di cerca del prossimo limite.
Una filosofia che oggi vive sui social. E in un contesto in cui ammontano a centinaia di milioni al giorno i nuovi post, la sfida al limite è la regola dei più. Tuttavia nel gioco morettiano del mi si nota di più se vengo, se non vengo o se vengo e me sto in disparte, oggi vince una quarta via.
Oltre ogni limite: ma a che costo?
Ne Il manuale della televisione, scritto ai tempi del primo GF, Massimo Taggi parlava di innalzamento della soglia dell’accettabilità, ovvero spingendo il limite costantemente un po’ più là alla fine tutto diventa normale, accettabile e accettato. Applicato a oggi, significa trovare un modo per spingersi sempre oltre. In palio c’è l’attenzione, bene scarso per antonomasia.
Tuttavia, questo ragionamento ha un limite. Nel gioco a chi la spara più grossa, spesso chi vince in questo caos comunicativo è chi invece sa correre una ultra maratona, chi è capace di coltivare lentamente la propria nicchia. Non si tratta di rievocare la scena iconica delle corna ne Il Sorpasso e conseguente e drammatico fuori strada.
Detta diversamente, in un contesto in cui tutti hanno diritto di parola, a urlare più forte poi manca il fiato. Nel frattempo, c’è anche che le nostre orecchie hanno riscoperto la bellezza del silenzio, come Zucchero e Pavarotti nell’ultima track dell’album Miserere, datata 1992, scritta con Bono degli U2, e che fa: “A volte la migliore musica è il silenzio, diciamo”.
Ne è un prova il fatto che interagiamo sempre meno con i contenuti, ne siamo sopraffatti. Non solo sui social. Per esempio quasi nessuno accoglie più con favore la comunicazione pubblicitaria, vissuta per esempio dai miei studenti della Generazione Z, con rarissime eccezioni, come un vero e proprio e inutile disturbo.
La lezione di Balenciaga
Eppure tutto quanto questo, e supponiamo tanto altro nell’immaginario del pop globale, deve essere sfuggito ai team di Balenciaga. Il noto fashion brand, che nelle sue ultime campagne – che sarà stata pianificata a un livello di dettaglio tale che neanche l’attuale guerra in Ucraina, ha ironizzato il Guardian – ha fatto scandalo mettendo in scena modelli bambini in posa con orsacchiotti a tema fetish.
Kim Kardashian, ambasciatrice del marchio, ha dovuto prendere le distanze e dirsi “scossa dalle immagini inquietanti” e che “qualsiasi tentativo di normalizzare gli abusi sui minori di qualsiasi tipo non dovrebbe avere posto nella nostra società – punto”. Balengiaca si è scusata.
Tuttavia, cercando di raffreddare gli animi per quanto il tema sia un vero e proprio cul de sac, c’è da dire che in una industria come il fashion che, non solo impiega 1 persona su 6 tra quelle in attività nel mondo e il cui prodotto è anche altamente standardizzato, farsi notare non è la più semplice delle sfide.
Questo però non può valere da giustificazione. Infatti, se c’è una lezione che ci portiamo a casa da questa brutta storia è che a tutto c’è un limite. Il che aiuta a spiegare perché, come suggerisce David Aaker, uno dei massimi esperti di marketing, non è vero purché che se ne parli. Bisogna che ne se parli bene.