venerdì, 15 Novembre, 2024
Società

Kabul. Atrocità contro le donne. 70 profughi salvati da inviata del Tg1

Da quando i miliziani islamisti hanno preso il potere a Kabul, in Afghanistan le restrizioni imposte alle donne sono aumentate di giorno in giorno. Non possono andare a scuola, lavorare, entrare nei parchi o nelle palestre ed esistono prove che prendano spose bambine e uccidano il feto se è femmina. “Atrocità che avvengono nel silenzio generale, ma il mondo non può rimanere fermo a guardare”, denuncia Maria Grazia Mazzola, inviata speciale del Tg1, che ha fondato la Rete umanitaria della società civile per aiutare le donne afghane, in particolare della minoranza sciita degli Hazara, a scappare dalla repressione dei miliziani islamisti.

“Ci cercavano casa per casa, bussavano a ogni porta per trovare gli attivisti. Io mi nascondevo con le mie figlie, spostandomi continuamente, grazie a una rete di contatti che dava l’allarme ogni giorno sugli spostamenti dei talebani”, racconta Razia Ehsani Sadat, una giornalista che lavorava in una tv locale, Tamadon tv, e alla quale hanno ucciso un fratello e un cognato. Appartiene a quella minoranza etnica e religiosa perseguitata con particolare accanimento dai talebani, ma portata in salvo dalla rete umanitaria tessuta da Mazzola. Razia, infatti, fa parte dei 70 profughi arrivati in Italia grazie ai Salesiani per il Sociale, le Chiese Protestanti, la coop “Una città non basta”, insieme all’Unione Donne in Italia, la onlus “Federico nel cuore” e il Gruppo Abele di don Ciotti. A loro si è aggiunto anche il contributo del Servizio Sanitario Nazionale e dell’ospedale Bambino Gesù. “Non siamo una Ong – ha spiegato Maria Grazia Mazzola – ma una Rete di unità nella diversità per i più vulnerabili. Non si tratta di fare la carità, ma di ristabilire diritti allo studio, alle cure, al lavoro”.

Al confine tra Afghanistan e Pakistan, i rifugiati afghani sono rimasti accalcati in un tunnel per 48 ore, senza acqua né servizi. Mentre i bambini dormivano per terra in questo spazio stretto, nel villaggio vicino i loro coetanei venivano costretti a prostituirsi con i camionisti di passaggio. L’unica via di salvezza la fuga all’estero, il miraggio di un passaporto. Storie orribili che i profughi hanno raccontato con la voce rotta dal pianto nella sede romana della delegazione italiana al Parlamento europeo: “Un inferno, non potete immaginare cosa sta accadendo lì, abbiamo bisogno di aiuto”, ha detto Razia.

Ora per loro inizia il cammino verso la piena integrazione nel nostro Paese, che dovrà essere sostenuta anche dalle autorità perché possano ricostruirsi una vita serena, alla quale ciascuno ha diritto. Primo passo, il riconoscimento dei titoli di studio, perché tra loro ci sono anche ingegneri, programmatori, ostetriche. “Accogliendo queste famiglie afghane, salvando loro la vita – commenta Renato Cursi, Direttore Generale di Salesiani per il Sociale APS – abbiamo fatto il nostro dovere”. “Testimoniamo un’impresa frutto di una sinergia virtuosa tra istituzioni e società civile”. Secondo il salesiano, infatti, sono fondamentali queste sinergie tra persone e organizzazioni solidali con le vittime della crisi afghana, di cui in Italia, ha detto il direttore, dovremmo sentirci in qualche misura corresponsabili. “Ora, insieme alle istituzioni, occorre guardare al futuro, soprattutto per i minori e i giovani coinvolti. Accogliere, proteggere, promuovere, integrare: questo significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuna di queste persone può apportare al processo di costruzione del futuro del nostro Paese”.

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