Lo gridano dal palco i ragazzi, mentre le persone intorno lo ripetono in coro “questa volta è diverso. Potete ucciderci, potete fare qualsiasi cosa perché avete le armi. Ci potete pure incendiare, ma stavolta voi brucerete con noi”.
Questa diversità è reale, si palpa con lo sguardo, perché sabato 29 ottobre, la prima manifestazione nazionale indetta a Roma a sostegno del popolo iraniano martoriato dal regime, ha offerto agli occhi bandiere di diverse nazioni e delegazioni e rappresentanti di diversi partiti, qui finalmente insieme per dire “donna, vita, libertà”. Perché esistono crimini che, come ho già scritto, sono equiparabili alla firma del demonio, perché privi di qualsiasi forma di pietà, scarnificati di ogni traccia di umanità. Sono inaccettabili e tali devono restare tali all’analisi di ogni coscienza.
Ce lo racconta uno dei ragazzi Pedram Entezar, che dice dal palco, riferendosi al regime “siamo uniti per mandare via voi assassini, perché come voi non c’è stato e non ci sarà nessuno, voi avete un animo diabolico, satanico. È un termine forte. Ma come vogliamo chiamare un regime che uccide i ragazzini?” E lo urla piangendo. Quante morti atroci, quanto orrore ancora si dovrà contare prima che questa rivoluzione dia a tutto il popolo i diritti alla vita e alla libertà? Il numero dei morti ammazzati dal regime è salito ad oltre 500. Ce lo hanno mostrato anche con la loro performance al centro di Piazza San Giovanni, luogo simbolo dei diritti civili: tutti insieme, in piedi, si sono lasciati cadere uno a uno a terra, come colpiti, fermi come a rappresentare il gelo della morte. E in mezzo a quella spianata di vite stese al suolo, abbiamo visto lei, la bambina con la bandierina iraniana sventolata verso il cielo, fulgida icona di speranza e coraggio, per lei e per tutte le bambine come lei, si è infiammata questa rivoluzione, perché il suo futuro deve essere una garanzia di vita e di libertà. Questa volta il popolo iraniano, insieme alla gente di ogni nazionalità, non si fermerà, è deciso ad andare avanti, come testimoniano anche le parole di David Karimi, Presidente della “Associazione dei rifugiati politici iraniani residenti in Italia”, che promette: “la nostra lotta finirà solo quando sarà definitivamente abbattuto il regime iraniano.”
Dopo 43 anni di inaudite violenze, soffocamento nel sangue di ogni voce, il popolo non ce la fa più. Nessuno di noi ce la fa più a vedere la terra bagnata di sangue innocente. Uno degli organizzatori spiega il senso profondo di questa rivoluzione, che è portatrice di una visione nuova, sintetizzata in uno slogan che va inteso come rifondazione del pensiero e ci dice “questo slogan è da intendersi come l’albero della vita, in cui la donna è la radice, la vita il tronco, la libertà il frutto. Questa è la filosofia di cui fondare la nuova società.” Infine, mentre tutti si tenevano per mano sulle note di “baraye”, uomini e donne insieme, siamo giunti al taglio dei capelli simbolo di solidarietà con i massacrati dal regime. Stavolta anche io ho lasciato i miei capelli: servono di più a loro.