La sentenza civile di primo grado del Tribunale dell’Aquila sulla drammatica vicenda del terremoto dell’aprile del 2009 in cui persero la vita ben 24 persone ha suscitato polemiche e stupore.
Si tratta, come noto, di una pagina molto buia del nostro Paese che ha gettato dubbi sul sistema di rilevazione delle scosse, sulla gestione dei soccorsi e – più in generale – sulle responsabilità di chi era deputato alla prevenzione dei rischi sismici e all’evacuazione di coloro che sarebbero e che sono stati coinvolti dal sisma in quella tragica notte.
Sul fronte penale, il procedimento si è concluso con la sentenza “Grande Rischi” della Quarta penale della Suprema Corte (la n. 12748 del 2015-2016) con la quale – rigettando i ricorsi presentati contro la sentenza di assoluzione pronunciata in appello nei confronti di sei membri della Commissione Grandi rischi che parteciparono alla riunione svoltasi 5 giorni prima del sisma del 6 aprile 2009 – ha confermato invece la condanna in appello, a due anni di reclusione, del solo ex vice capo del settore tecnico della Protezione Civile.
In materia di causalità psichica, peraltro, la Corte ha riconosciuto un nesso causale tra le informazioni sulla pericolosità e sui futuri sviluppi dell’attività sismica fornite alla cittadinanza da uno degli imputati e la decisione di alcune delle vittime di rimanere in casa nonostante il protrarsi delle scosse sismiche.
Anche sulla scorta degli esiti penali di tale vicenda, la sentenza civile sui risarcimenti dei danni ha lasciato interdetti e sgomenti, sia i familiari delle vittime che il mondo della politica a tutto tondo.
Il motivo di un tale scalpore deriva principalmente dall’accoglimento della questione sollevata dall’Avvocatura dello Stato: è stata riconosciuta fondata l’eccezione di concorso di colpa delle vittime. Secondo il Tribunale è stata una condotta incauta quella di essersi trattenuti a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile; la stessa circostanza che sul fronte penale, ha comportato la condanna di uno dei sette imputati proprio per le dichiarazioni rassicuranti manifestate in seno alla Commissione Grandi Rischi.
Concorso di colpa (e quindi valore del risarcimento decurtato), probabilmente fondato sull’analisi del combinato di cui agli articoli 1227 e 2056 c.c. in materia di concorso del fatto colposo del creditore che, ad ogni modo, è stato stimato in capo ad alcune delle 24 vittime nella misura del 30%.
Secondo una dei legali, nonché madre di una delle vittime, “la verità è che questi ragazzi andarono a dormire alle due di notte perché si erano sentiti rassicurati a fronte del sentirsi dire che più “scossette c’erano, più energia si scaricava”, dunque un totale affidamento ai “tecnici”.
La sentenza tutt’altro che soddisfacente potrà essere meglio valutata con la lettura della motivazione Il dolore e la rabbia di chi ha perso un proprio caro in sede processuale deve esprimersi con l’impugnazione della sentenza in Appello e/o con ricorso per Cassazione.