venerdì, 15 Novembre, 2024
Politica

Il Pd alla ricerca del tempo perduto

Il congresso costituente del Pd della prossima primavera arriverà con circa 10 anni di ritardo. Nelle politiche 2013, appena sei anni dopo la fondazione, il Pd perse in un colpo 3 milioni e mezzo di voti rispetto al 2018. Il campanello d’allarme non scattò. Da allora il partito si è avviluppato in una spirale di scissioni a destra, a sinistra e al centro, paralizzato da correnti diventate repubbliche autonome ed è diventato un tritacarne di segretari silurati nel volgere di pochi mesi. Unica costante, la presenza continua al governo, se si eccettua il periodo giugno 2018-settembre 2019. Poteva mai un partito del genere costruire un vero argine al populismo dei 5Stelle e aggregare una coalizione per contrastare il centrodestra?

Addossare soltanto a Letta la colpa di questo fallimento è ingeneroso. Le responsabilità sono di tutti, anche di quelli che dal Pd se ne sono usciti, a torto o a ragione.

Quando è stato chiamato a togliere le castagne dal fuoco, dopo le dimissioni di Zingaretti, Letta ha sbagliato a non porre come condizione lo scioglimento di tutte le correnti e l’apertura del partito all’esterno, alla società innanzitutto per ascoltarla. Il Pd è diventata un’oligarchia autoreferenziale sorda ai problemi sociali e soddisfatta dei rituali di una sinistra salottiera e schizzinosa.

Partito autoreferenziale

Ha continuato a guardare al proprio ombelico, a considerarsi il migliore, a gestire ampia fetta di potere centrale e locale alimentando anche clientele. Nel frattempo ha perso definitivamente i contatti con strati sociali sempre più sofferenti che il Pd lo vedevano solo in televisione e non più sul territorio.

Così una larga fetta dell’elettorato, un tempo appannaggio della sinistra, deluso e disorientato si è rivolto altrove. I più emarginati soprattutto al Sud hanno ceduto alle sirene demagogiche dei 5 Stelle, lavoratori autonomi in affanno, artigiani e commercianti si sono rivolti alla destra sociale il cui messaggio e linguaggio è apparso più attento e comprensibile di quello distante e confuso del Pd.

Identità confusa

Senza un’identità precisa il Pd ha deluso anche ceti produttivi che non amano l’assistenzialismo e ha perso appeal verso chi fa del merito un valore centrale nella vita democratica. In compenso, il Pd ha continuato a parlare lo stantìo linguaggio del politically correct, ad affrontare temi gravissimi come l’immigrazione e la sicurezza a colpi di slogan.

Da ieri sembra iniziare un percorso di esercizi spirituali che dovrebbe durare fino a Febbraio e scegliere il nuovo segretario. I primi segnali di questa riflessione non sono incoraggianti. Nella Direzione sono riecheggiati massimalismi e retoriche antiche, critiche contro il famigerato mercato che sembravano ormai sepolte dalla storia. Come se fosse stato il “mercato” a impedire al Pd di destinare al Reddito di inclusione risorse adeguate per sostenere le fasce più deboli della popolazione. Poi i 5 Stelle si sono inventati il reddito di cittadinanza hanno stravolto il meccanismo di sostegno e ne hanno fatto la base elettorale della loro sopravvivenza politica.

Tutto da rifare

E c’è ancor nel Pd qualcuno che pensa di far rinascere il partito inseguendo i 5 Stelle invece di andare a togliere al partito di Conte il terreno sotto i piedi riuscendo a parlare seriamente alle famiglie in difficoltà.

Deve sciogliersi un partito del genere? Si, sarebbe meglio sbaraccare tutto e creare un nuovo soggetto politico, una sinistra moderna, senza spocchia e paraocchi che dia risposte adeguate serie ai problemi sociali.

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