Il lavoro torna prepotentemente sulla scena delle emergenze nazionali. In tutte le sue declinazioni: sicurezza, contratti e salari, professionalità da formare e quelle introvabili. Un dossier “occupazione” che ogni giorno segna ulteriori problemi. Dal più grave, quello degli incidenti e lutti per il lavoro, alla precarietà, alla fuga dalle professioni – anche quelle di rilevanza sociale come i medici ospedalieri -, con il dato più controverso: 12 milioni di persone inattive.
La riforma mancata
Fermo e con prospettive ancora incerte è rimasto il Piano Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Gol). Programma che ha avuto cospicui finanziamenti europei e nazionali. Il piano a regime doveva portare alla assunzione di 3 milioni e mezzo di persone, in particolare donne e giovani. Finora non è riuscito a portare a termine un solo contratto. Eppure lo sforzo c’è con l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) che ha sbrigato tutti i primi adempimenti operativi, ci si aspettava, come segnalano gli Uffici studi delle Associazioni di categoria e dei sindacati, una partenza sprint. Invece buona parte delle Regioni non è ancora in grado di formulare i bandi per selezionare gli operatori che a loro volta dovranno far decollare il Gol. Come noto, inoltre, sulla rampa di lancio ci sono fondi del programma Garanzia di occupabilità, che arrivano dal Piano nazionale di Ripresa, con investimenti per 4 miliardi e 400 milioni di euro; più 500 milioni di fondi React-Ue. Fondi per ora fermi.
L’attacco dei sindacati
Dal fronte sindacale arrivano le maggiori pressioni per attuare una riforma del lavoro che per buona parte è adeguamento dei contratti e dei salari. La Cisl propone al nuovo governo una road map di 12 punti per il lavoro, con accanto due temi altrettanto urgenti: un’accelerazione sulla riforma delle pensioni, prima che si ritorni alla legge Fornero dal primo gennaio; e il massimo dell’impegno sulla questione dell’energia, “che potrebbe scatenare nel giro di pochi mesi un’ecatombe sul mercato del lavoro”. La Cisl rilancia con il “lavoro stabile, rafforzato da incentivi e sgravi che rendano più conveniente per gli imprenditori le assunzioni a tempo indeterminato piuttosto che a termine”.
La Cgil invece già vede uno scenario di forte crisi sociale.
“Si teme un autunno caldo?”, avverte i leader della Cgil, Maurizio Landini, “L’autunno è già caldo, già adesso la gente non ce la fa, serve un intervento immediato. Servono riforme strutturali. C’è il problema di cosa mettere nella legge di bilancio perché non è il momento delle una tantum ma di interventi strutturali”, “Bisogna cambiare leggi sbagliate che sono state fatte. E’ il momento di istituire un unico contratto di inserimento al lavoro finalizzato ala stabilità”. E sui salari Landini commenta: “C’è un’unica soluzione: aumentarli”.
Lavoro sicuro, una priorità
Il capitolo più amaro del lavoro è senz’altro quello degli incidenti e della sicurezza. Tema che torna quotidianamente alla ribalta. Le denunce di infortunio nei primi 7 mesi del 2022 sono aumentate del 41,1%. Un dato che allarma i sindacati e le Associazioni di categoria. Per la Uil l’aumento dei casi rappresenta un record negativo rispetto alle già drammatiche cifre dello scorso anno. “Sebbene il maggior incremento continui a registrarsi per gli infortuni in occasione di lavoro (+43,6%) dobbiamo purtroppo constatare un +24% anche nelle denunce per infortunio in itinere”. Da registrare con l’ennesimo infortunio mortale che ha coinvolto un ragazzo durante uno stage formativo, la presa di posizione del segretario della Uil PierPaolo Bombardieri.
“Diciamo ‘no’ ai tirocini, agli stage, ai co.co.co.; siamo contrari ai voucher e siamo per le assunzioni a tempo indeterminato. Poi discutiamo, ragioniamo”. “Noi”, dice Bombardieri, “siamo per una flessibilità contrattata: non è possibile che si lavori in somministrazione tutta la vita o che questo modello diventi un fattore fondamentale dell’organizzazione del lavoro”.
Sindacati, sfida sui contratti
In assenza di un tavolo di Governo il tema dei contratti di lavoro è diventato campo di riflessioni e scontro. La Cgil a Bologna nei giorni scorsi con il segretario Maurizio Landini ha lanciato la sfida. “Tutelare e aumentare il potere di acquisto di salari e pensioni. Salario minimo legato al trattamento economico complessivo dei Contratti nazionali e legge sulla rappresentanza. Definire un Nuovo statuto dei diritti per tutto il mondo del lavoro”, propone Landini.
Sui contratti la Cisl rilancia il principio: ”meno dura il contratto, più costa”. “Quel maggiore costo dei contratti a termine”, propone il segretario Luigi Sbarra, “non serve solo a disincentivarne l’uso massiccio, ma anche a una redistribuzione che lo destini in parte per alzare le retribuzioni e in parte ad un fondo per sostenere il sistema pensionistico di giovani e donne”.
Imprese, no a maggiori costi
Il tema del mercato del lavoro continua ad animare il dibattito anche in vista dell’insediamento a partire dalla fine di ottobre di un nuovo esecutivo che dovrà cominciare a lavorare sulle questioni più urgenti. Sui contratti a termine, ad esempio, dopo sottolineature della Cisl, immediata è stata la risposta della vicepresidente di Confcommercio con delega a lavoro e welfare, Donatella Prampolini, “Sui contratti a termine, bisogna intendersi. Non serve renderli più costosi. Perché il punto di fondo”, osserva la dirigente di Confcommercio, “è che vi sono esigenze strutturali di buona flessibilità governata e contrattata. E rispondere positivamente a queste esigenze va anche a tutto vantaggio dell’accrescimento del tasso di occupazione e del contrasto del lavoro irregolare”.
I segnali negativi
Post pandemia, costi dell’energia, materie prime e inflazione. Sono i problemi che stanno condizionando il mondo del lavoro. L’Istituto nazionale di previdenza fa sapere che le richieste di Cigs – nei primi sette mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo 2021 – sono salite del 45,65%. Un vero record. Il secondo problema sono i 22 mila posti di lavoro in meno di giugno. A segnalarlo il bollettino Excelsior, dell’Unioncamere-Anpal, diffuso l’8 settembre che sottolinea come il segno meno degli occupati è il primo dato negativo che arriva da agosto 2021. Inoltre l’intera produzione inizia a risentire della guerra in Ucraina. Una frenata che pesa sul mondo del lavoro.
Le “chiamate” disattese
Nel bollettino dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, si riferisce che le imprese prevedono di assumere per il prossimo trimestre circa 1 milione 4 mila di lavoratori, oltre 44mila in meno rispetto al lo stesso trimestre del 2021. In termini percentuali si tratta di un meno 3 per cento. Un segnale anche questo che va in direzione opposta alla tanto attesa ripresa. I dati negativi si registrano in particolare nel manifatturiero del made in Italy che segna un meno 3,4%, pari a un calo di 42.540 posti di lavoro. Poi ci sono i settori che hanno picchi più elevati. L’Anpal, indica le aziende della carta, cartotecnica e stampa con meno 14,6%; quelle meccaniche con meno 19,9%; le attività metallurgiche con un pesante meno 25,6%; le difficoltà del tessile, abbigliamento, calzature con una caduta del 31,2 per cento. In un contesto negativo
anche le attività che ruotano attorno al mondo dei servizi con meno 3,7% di ingressi di lavoratori. A conti fatti le assunzioni preventivate scendono del 33%.
La crisi delle professioni
Altro capitolo di una profonda difficoltà del mercato del lavoro è la mancanza di figure professionali da assumere. Un vero problema nel problema.
Il “mismatch” ovvero il mancato incontro tra domanda e offerta non avviene per una buona parte delle figure professionali.
A settembre, sempre secondo il bollettino Excelsior, la percentuale di “introvabili” ha raggiunto un nuovo picco, sapendo al 43,3%, in altri versi di 7 punti in più rispetto a settembre 2021, quando il mismatch tra domanda e offerta di lavoro riguardava il 36,4% dei profili ricercati. È il terzo segnale che il mondo del lavoro ha necessità di urgenti riforme.