Il Presidente del Consiglio ha fatto bene a chiarire davanti al Parlamento cosa è successo, da un anno in qua, a proposito del Trattato intergovernativo sul MES. Conte ha rivendicato con puntiglio che le Camere erano state più volte informate dei temi in discussione e che nulla era stato nascosto ai ministri del suo precedente ed attuale Governo.
Fin qui tutto bene. Ma.
Riflettendo sull’intera vicenda emergono alcune considerazioni che, a futura memoria, potrebbe essere utile valutare.
Innanzitutto, quando si affronta un tema del genere, tecnico sì, ma con rilevanti risvolti su tutti i cittadini, in caso di applicazione all’Italia delle clausole del Trattato, occorrerebbe un dibattito più ampio. Se non è successo è colpa dei giornalisti che non si prendono la briga di fare come Montanelli: “far capire agli altri quello che neanche io capisco”. Spiegare in maniera comprensibile al gran pubblico cosa sia, come funzioni e quali conseguenze possa avere un’istituzione come il MES è un lavoro difficile che non possiamo chiedere né agli economisti né ai politici. Ma ai giornalisti, si: dobbiamo chiederlo e da loro dobbiamo aspettarci che ci aiutino a capire. Piero Angela e suo figlio in tv ci spiegano cose complicatissime, possibile che tra le migliaia di puntate dei tanti salotti televisivi non se ne possa dedicare qualcuna per tradurre in pillole anche il MES?
Se i giornalisti invece di inseguire solo le polemiche e i retroscena, se i conduttori dei programmi di approfondimento invece di interrompere ogni 40 secondi qualsiasi ospite che abbia qualcosa di importante da dire si ponessero il problema di far capire a tutti il contenuto di leggi, provvedimenti, trattati etc. forse faticherebbero un po’ di più ma farebbero aumentare la consapevolezza dei cittadini. Quest’operazione di informazione-divulgazione è tanto più necessaria oggi, in presenza della volatilità e incontrollabilità delle notizie e delle fake news resa possibile dai social.
Se i giornalisti facessero questo sforzo di divulgazione e vero approfondimento forse costringerebbero anche i politici a non vagare tra le nuvole e dietro gli slogan ma a doversi pronunciare su temi concreti. E forse si scoprirebbe che tanti politici onnipresenti nei salotti tv dedicano poco tempo a prepararsi sugli argomenti oggetto di effimere interviste.
Dato ai giornalisti quello che è dei giornalisti occorre rilevare un grave difetto di metodo da parte dei Governi nell’affrontare temi così rilevanti e complessi.
Abbiamo scoperto solo due giorni fa dalle dichiarazioni di Antonio Patuelli, Presidente dell’associazione delle banche italiane (ABI), che né il Governo Conte 1 né il Governo Conte 2 ha mai consultato l’ABI su questo argomento. La cosa ha dell’incredibile, perché la funzione principale del MES è proprio quella di evitare gravi crisi bancarie e -per di più- perché uno dei nodi del contendere riguarda la valutazione di rischio dei titoli di Stato che sono nella pancia delle banche.
Come si fa ad affrontare questi temi senza un confronto approfondito con coloro che ne sono i principali punti di riferimento? È questo un errore gravissimo che i Governi commettono con facilità e con una serialità inaccettabili.
Si pretende di legiferare in sede nazionale ed europea senza mai ascoltare adeguatamente i portatori di interessi coinvolti nella materia oggetto di decisione. E questo nonostante esista un preciso obbligo di legge di effettuare, per una vasta tipologia di provvedimenti di iniziativa governativa, la cosiddetta AIR (analisi dell’Impatto della Regolamentazione). Insomma, può un Governo decidere in sede europea su come salvare le banche e valutare i titoli pubblici che esse hanno in gestione senza consultare le banche? Molti burocrati e politici non vogliono ascoltare perché temono di essere influenzati: vuol dire che non hanno di sé stessi una grande considerazione e che preferiscono l’ignoranza alla conoscenza. “Conoscere per deliberare”, diceva Luigi Einaudi, oggi invece lo slogan messo in pratica è “ignorare per non dover approfondire”.
Ma c’è ancora un altro grave errore di metodo che la vicenda del MES porta a galla: quando si discutono questioni delicatissime con rilevanti possibili conseguenze sul sistema Paese, il Governo dovrebbe creare un tavolo di lavoro in cui coinvolgere tutti i soggetti interessati sia pubblici che privati.
È il caso della Banca d’Italia, la nostra gloriosa istituzione, fucina di idee e di grandi professionalità e competenze, che gode di grande prestigio internazionale: essa dovrebbe essere attivamente coinvolta, e non solo con audizioni parlamentari, nelle decisioni che il Governo deve adottare.
Sul MES il Governo avrebbe dovuto ascoltare separatamente Banca d’Italia, ABI, associazioni finanziarie, agenzie di rating e poi creare un tavolo di lavoro comune per scrivere insieme delle proposte coerenti e ben strutturate da portare all’attenzione del Parlamento e poi in sede europea.
Nulla di tutto questo è successo. E le conseguenze si vedono.
Speriamo che la lezione sia servita, non solo ai politici e agli uomini di Governo che non studiano i dossier ma anche a coloro che devono organizzare e gestire dei processi decisionali con mentalità aperta e non difensiva.