Con la quarta votazione alla Camera dei deputati – due per ciascuna Camera – il 28 luglio scorso, si è concluso l’iter legislativo che vedrà, tra circa tre mesi, le due fondamentali isole italiane Sardegna e
`Sicilia e le altre 800 circa, di cui solamente 80 abitate, protette dai principi costituzionali.
Esattamente è l’articolo 119 della Costituzione che si arricchisce di altro comma che così recita: “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi
derivanti dall’insularità”.
Trattasi di una conquista attesa da moltissimo tempo, avendo la riforma del titolo V del 2001 riformulato l’intero articolo, sopprimendo anche il terzo comma che così recitava: “Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali.”
La sintonia e la tenacia, specie dei parlamentari delle due grandi isole Sardegna e Sicilia – entrambe sotto il regime dello statuto speciale – hanno fatto si che anche lo scioglimento anticipato delle Camere non
abbia vanificato il grande lavoro svolto in questa legislatura, iniziato con la raccolta di oltre 200 mila firme, trattandosi di proposta di legge di iniziativa popolare, come prevede l’art. 71 della Costituzione.
L’iter parlamentare delle due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi da Camera e Senato, come impone l’art. 138 della Costituzione, si è concluso proprio alla Camera nei giorni scorsi. Si
potrebbe affermare che dopo cinque anni di intenso lavoro, Sardegna e Sicilia vedono coronato il loro sogno, anche se per otto voti mancanti per la maggioranza dei due terzi, occorre attendere tre mesi dalla
pubblicazione entro cui – in base al citato articolo 138 – un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali potrebbero chiederne, paradossalmente, referendum popolare.
Alle specifiche norme ordinarie e regolamentari spetta la competenza, in concreto, di stabilire parametri base per individuare i livelli essenziali di prestazione, per perequare e definire i fabbisogni standard dei territori e destinare le risorse necessarie. Sarebbe proprio il ruolo delle autonome speciali da rivedere ed ampliare con tale principio per rimuovere le disuguaglianze nelle due principali isole e nelle oltre 80 isole minori, regolarmente abitate, esistenti lungo tutto lo Stivale.
Ognuna di queste, in effetti, presenta proprie peculiarità e caratteristiche comuni che meritano di essere tenute in massima considerazione per preservare e sostenere le comunità che le vivono. In termini economici sembra che si tratterebbe di un plafond aggiuntivo annuo di circa sette miliardi di euro che potranno essere riconosciuti alla Regione Sicilia affinché i cittadini non subiscano più condizioni sfavorevoli. Ogni cittadino siciliano – è stato calcolato -si accollerebbe, annualmente, una specie di tassa occulta, di circa 1.300 euro, neonati compresi. Parimenti anche la Sardegna, promotrice in questa scalata giuridica, si sente oggi più forte per i diritti a lungo negati, oltre alle giuste compensazioni degli svantaggi che, indubbiamente, la condizione di insularità obbliga a vivere e sopportare.
Bisogna abituarsi a considerare le isole, grandi e piccole, da tutte le loro angolazioni, sia dal punto di vista meramente turistico e sia come ricchezza per il nostro Paese che i singoli abitanti e le rispettive Amministrazioni godono e lasciano godere agli ospiti.
Il riconoscimento dell’insularità in Costituzione è in parallelo ed in sintonia con l’impegno della Commissione Sviluppo Regionale (REGI) del Parlamento Europeo, essendo la problematica sulle isole una questione sempre più centrale nell’agenda politica nazionale ed europea. Basti pensare che l’Italia è il più grande Paese Europeo per numero di abitanti insulari dopo la Brexit, con oltre 6 milioni ed in Europa si
sfiorano i 20 milioni di insulari.
I loro molteplici disagi costituiscono priorità da colmare con le politiche specifiche nazionali ed europee.