Non è detto che funzioni. Ma con le dovute precauzioni apre un mondo. A volte grande sei continenti come quelli dove, nel corso delle scorse settimane, il Global Entrepreneurship Network ha promosso l’attività d’impresa dialogando con le nuove generazioni.
Da ricercatore non ho saputo resistere alla tentazione di celebrare il momento mettendomi sulle tracce del Professor Paul D. Reynolds, una leggenda nel circuito accademico, vincitore dello Swedish International Award for Entrepreneurship and Small Business Research, il Premio Nobel di settore per intenderci, nonché, in una sterminata bibliografia scientifica e divulgativa, autore di un libro dal titolo Business Creation. Ten Factors for Entrepreneurial Success per i tipi della prestigiosa Edward Elgar Publishing.
Con una buona dose di fortuna sono riuscito a porgli qualche domanda e, a partire dalla sua vasta esperienza, ho potuto chiedergli quale fosse il suo punto di vista sul ruolo dell’università nella creazione di nuovo business. “Le università”, spiega, “possono provvedere alla formazione necessaria all’avvio di una nuova attività e al contempo, attraverso l’attività di ricerca e sviluppo, fornire nuova conoscenza che possa essere commercializzata”.
Tuttavia, l’aspetto interessante del suo ragionamento è come l’opportunità che derivi da questa duplice dimensione non sia rivolta solo in positivo, ovvero a come aiutare gli imprenditori in erba nel riconoscere nuovi gap di mercato e a sfruttarli, ma anche in negativo e quindi a come abbandonare per tempo un progetto che non si riveli profittevole. Tradotto, l’università dovrebbe aiutare a sviluppare quella consapevolezza necessaria a capire quando è il momento di proseguire oppure lasciar perdere, dovrebbe cioè insegnare a capire per avere il coraggio di osare.
Alla base del suo ragionamento, emerge in controluce l’importanza della gestione del rischio. Per esempio, sui nuovi mezzi di raccolta di capitale per le piccole e medie imprese come il crowdfunding si é mostrato scettico, suggerendo prudenza nella gestione di questo tipo di fundraising: forse meglio vederlo in chiave di beneficenza che di investimento vero e proprio, afferma.
Ma il crowdfunding non è l’unico trend che interessa da vicino il mondo dell’imprenditoria da un po’ di anni a questa parte. Per esempio, si fa un gran parlare di cambiamento climatico. Reynolds sostiene che le nuove forme di energia come pure le emergenti problematiche sociali, se da un lato attirano una grande attenzione mediatica,in realtà costituiscono solo una piccola fetta della torta imprenditoriale. Senza dubbio ci saranno nuove opportunità e creazione di nuove imprese, precisa, ma senza stravolgere lo scenario produttivo.
Una cosa però è certa: gli imprenditori sono volano di crescita. Per questo bisogna porre molta attenzione ai rapporti tra politica e imprenditoria. Una volta stabilito un ordine economico, infatti, le elite imprenditoriali si alleano con quelle politiche per mantenere i rispettivi status quo. “Ciò si verifica spesso in vari modi come, per esempio, nella creazione di monopoli o scoraggiando la creazione di nuovi business. Il risultato è la stagnazione economica.” Un antico adagio che in Italia, nel meridione in particolare, ha purtroppo riempito molte valigie e svuotato altrettante case. Ora più che mai c’è bisogno di osare.