Conte riporta i 5S verso le sponde del peggior populismo da cui aveva cercato di allontanarli. Torna a realizzarsi il vecchio sogno di Grillo: lo splendido isolamento del Movimento, i duri e puri che ballano da soli ebbri dei loro slogan ad effetto, orgogliosi delle loro mirabolanti promesse e alleggeriti dal contatto con la realtà. Nel 2018 erano al 33% ora sono al 10%. Hanno rotto con tutti, anche col Pd che ancora si illude che il M5s cambi idea.
Conte ha passato il Rubicone, Ma non è Giulio Cesare. Anche perchè, se serve un vero capo populista, l’uomo giusto è “Dibba” non l’avvocato con la pochette.
Il 31 maggio del 2018 l’avvocato ,che nessuno conosceva, salì al Quirinale. Era innocente: neanche lui aveva mai pensato di guidare un Governo peraltro di populisti e demagoghi. Fu un anno di sconquassi. Il raddoppio dei voti all’europee del 2019 diede alla testa a Salvini che pensò di prendersi i “pieni poteri”. La manovra per impedirglielo trovò in Conte l’uomo giusto. Si erano tanto odiati ma Pd e 5S nel settembre 2019 cominciarono a governare insieme. Iniziò un lento traghettamento dei grillini dalle sponde malmostose del populismo a quelle di una seria cultura di governo da imparare giorno dopo giorno. Al timone del traghetto, Giuseppe Conte. Sembrava l’uomo giusto. Poi venne la pandemia. L’avvocato mostrò una certa saggezza, ottenne la promessa dei soldi dall’Europa. Ma all’inizio del 2021 fu defenestrato perchè un uomo di prestigio internazionale incomparabile con il suo rassicurava chi ci doveva dare oltre 200 miliardi. Li volevano mettere in buone mani. Conte, pressato da Grillo, si piegò ma non la mandò giù. Nel frattempo il traghetto che si era allontanato dal populismo ma cominciava a sbandare. L’ex capo Di Maio decise di scendere, convincendo altri a farlo. Di fronte allo sbarco in massa dei 5S Conte girava la prua di 180° e riprendeva il largo. Il suo traghetto puntava dritto a tornare al vecchio porto rassicurante, fatto di slogan, di mirabolanti promesse e di irresponsabile distacco dalla realtà.
Per coronare il sogno, e tenere a bada il residuo equipaggio, doveva dichiarare una guerra. E lo fece. Il nemico era Mario Draghi, l’usurpatore, accusato di parlar male di lui, di umiliarlo con Grillo e di ignorare le sue richieste. Conte aveva in serbo per Draghi un dolcetto avvelenato: restare nella maggioranza senza far cedere il Governo, per tenerlo sotto attacco quotidiano e frenare l’emorragia di consensi.
Ma il gioco non è riuscito. Draghi è stato e sarà chiaro anche mercoledì: o dentro o fuori. Conte ha deciso che resterà fuori. Ma sarà fuori anche dal campo largo del Pd e ballerà da solo. Come ai bei vecchi tempi. I duri e puri possono vivere solo da soli. Orgogliosi del loro fallimento. Auguri comandante Conte, ma attento agli scogli e all’abbordaggio di Di Battista. Se serve un capo populista, l’uomo giusto è “Dibba” non l’avvocato con la pochette.