Il gioco è scappato di mano a Giuseppe Conte. Ha caricato la bomba e non è riuscito a disinnescarla. Il M5s non vota la fiducia, astenendosi o uscendo dall’aula. Draghi va a dimettersi al Quirinale. E le elezioni anticipate sono ormai inevitabili.
Ora il capo del Movimento deve mettere nel conto un’altra emorragia di parlamentari che lasceranno il Movimento. Insomma una sorta di harakiri politico. Conte ha sbagliato i conti: pensava di potersi svincolare dal Governo, per attaccarlo nei prossimi mesi prima delle elezioni e tentare così di recuperare i consensi in forte calo. Ma né Draghi né gli altri partiti della maggioranza vogliono fargli questo regalo. Il destino del Governo e della legislatura sono segnati. Ma è in ballo anche il futuro politico di Conte e la sua stessa permanenza alla guida dei 5S. Intanto si rompe l’asse con Letta e il Movimento è più isolato che mai.
Draghi ha fatto il possibile per offrire al capo dei 5S una via di uscita onorevole dal vicolo cieco in cui l’avvocato si era cacciato. Ma ormai Conte si era spinto troppo avanti sul ciglio del baratro. Le sue richieste nascondevano la volontà di rompere o di costringere il Governo a comportarsi come se fosse un monocolore dei 5S. Impensabile.
Accettando di fare il capo dei 5S, Conte si era illuso che il suo credito personale e la sua popolarità, guadagnati con la gestione della pandemia, bastassero a guidare un Movimento in forte crisi di identità, dilaniato da insanabili contrasti interni. Schiacciato tra la freddezza di Grillo, l’assenza di dialogo con Di Maio e le pressioni dei nostalgici di Di Battista, Conte non ha saputo imporre una sua leadership forte.
È rimasto prigioniero delle contraddizioni del Movimento e del suo risentimento per la sua defenestrazione da Palazzo Chigi. Non ha mai accettato in cuor suo di essere stato sostituito da Draghi e così si è privato dell’unica possibilità che aveva, in quanto leader del partito di maggioranza relativa: poteva e doveva essere il miglior alleato di Draghi e invece è stato il più incerto, ambiguo, perfino peggio di Salvini. Il Governo Draghi poteva essere per i 5 Stelle l’occasione per superare definitivamente il populismo degli slogan e dimostrare di aver imparato che si governa non con bandierine ma con proposte che risolvano i problemi.
Di Maio questo lo ha capito e ha convinto mezzo Movimento a seguirlo. Anche Grillo sembra aver oggi i piedi per terra. Conte, che aveva guidato due governi, ha invece deciso di fare marcia indietro per rifugiarsi nella comfort zone del populismo parolaio. Errore imperdonabile. Che pagherà con una perdita di credibilità e di leadership. La prima conseguenza sarà l’isolamento politico: il Pd non potrà più fare alleanze elettorali con il M5S.